Campioni del mondo!

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Il triplice urlo di giubilo di Nando Martellini nella notte dell’11 luglio 1982 risuona nella memoria di tutti noi, evocato dalla notizia della scomparsa di Paolo Rossi, che di quel-la vittoria fu il principale artefice, diventando l’uomo simbolo del Mondiale per antonomasia. Un altro triste tassello si incastra nel lugubre puzzle di quest’anno funesto.

I ricordi di quella che fu per l’Italia, appena uscita dai sanguinosi anni di piombo, la prima estate spensierata, si rincorrono su tut-ti i giornali e in tutte le trasmissioni televisive, attirando l’attenzione di chi allora se ne stava beata sulla nuvoletta: «Mi dispiace che sia morto Paolo Rossi, non era tanto vecchio (bontà sua!): almeno però non si parla solo del Covid! Ma tu ti ricordi il Mondiale del-l’82? Dai, racconta!». La cronaca è riservata solo a me, in quanto, tra l’ilarità generale, veniamo a sapere che il maschio di famiglia, tifoso accalorato, nell’unico giorno in cui bisognava essere in Italia, si trovava a Londra in soggiorno studio!

«Ricordo tutto, come se fosse accaduto ieri: la famiglia riunita davanti alla TV e mio nonno che, con piglio da ex combattente, appena un calciatore della Germania Ovest toccava il pallone, si lanciava in coloriti commenti. Le strade invase da una fiumana di persone, festanti ma rispettose e i clacson delle auto che hanno risuonato fino al matti-no». La curiosità, si sa, è femmina e il discorso si amplia al contesto che fece da cornice al trionfo calcistico: «E quel vecchio che era allo stadio era il presidente della Repubblica? Perché era così tanto amato? E questi famosi anni Ottanta erano così belli? A me non sembra: eravate vestite da paura, con delle acconciature assurde!». Mi aggiro con prudenza tra la raffica di domande: «Il presidente era Sandro Pertini, il più benvoluto di sempre, perché combatté da partigiano contro il Fascismo e divenne Capo dello Stato quando l’Italia era dilaniata da contrasti sociali che sembravano irrecuperabili. Non so se fossero anni belli, erano però anni in cui si stava recuperando la speranza nel futuro. Le braccia alzate al cielo di Pablito, dopo aver sconfitto il Brasile nella semifinale, sono diventate simbolo di rinascita, anche se allora non ne siamo stati immediatamente consapevoli». Di fronte alle immagini delle esequie, le domande proseguono: «Quelli erano i compagni di squadra? E tu impazzivi per quello lì pelato? (Antonio Cabrini, che nell’82 era tutt’altro che pelato!) Che bello che siano tutti insieme!». A me sovviene solo una preoccupazione: riusciremo noi ragazzi degli anni Ottanta a metterci sulle spalle il nostro Paese ferito, come i calciatori hanno fatto con la bara del compagno e a consegnare ai giovani la speranza di poter essere di nuovo campioni del mondo?

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