Mamme e figlie in DAD

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di Silvia Malaspina

La gestione della famigerata DAD (didattica a distanza) si è rivelata, come era prevedibile, a quasi totale carico delle mamme, che hanno così potuto aggiungere un’ulteriore incombenza e competenza al loro essere già bastevolmente multitasking.

Hanno dovuto riorganizzare gli impegni lavorativi, in modo da non abbandonare i pargoli in età scolare davanti allo schermo di un computer, perciò è stato massiccio il ricorso allo smart working: immagino le mamme, più acrobate di un funambolo, che tentano di portare a termine un compito professionale mentre gli alunni agli arresti domiciliari le interrompono chiedendo delucidazioni sul calcolo dell’area del triangolo.

Altre genitrici hanno fatto ricorso a una pausa forzata, polverizzando i giorni di ferie a disposizione, quelle più fortunate hanno potuto fare affidamento sull’ausilio dei nonni o di una babysitter.

La gestione famigliare è divenuta sempre più complessa, spesso la fatica è degenerata in parental burnout, cioè esaurimento nervoso delle genitrici che, novelle dee Kali dalle cento mani, hanno condensato in sé la mamma, la maestra, la cuoca, la colf e la lavoratrice.

Vista dalla prospettiva dei ragazzi, la DAD non pone meno problematiche, sia per gli alunni più piccoli, sia per i grandi: ho letto su un noto blog il tema che una ragazza diciottenne ha scritto sull’argomento “I giovani d’oggi tra paure e attese per il futuro”: «Ho diciotto anni, compiuti poco più di un mese fa, nel bel mezzo di una pandemia globale, circostanza che mi ha impedito di festeggiare il giorno che pensavo sarebbe stato il più bello della mia vita.

Ho diciotto anni e non posso andare a scuola. Ho trascorso l’ultimo anno di liceo nella mia camera da letto, davanti a un pc, senza interagire con nessuno, la testa bassa e gli occhi spenti, senza il desiderio o interesse di voler apprendere.

Senza avere la possibilità di confrontarmi con i miei compagni, di condividere momenti di gioia o di sofferenza, di prendere un caffè alle macchinette, di fare le gite. Di crescere. Ho diciotto anni e sento una voragine assordante farsi strada nel mio petto. Ho diciotto anni e ho paura. Ho paura del futuro, cosa mi succederà, se mi porterò per sempre questi danni dentro di me o se tornerò ad essere la ragazza che ero prima. Ho paura che non finisca mai e che non ci sarà futuro per me. Per noi». L’impatto emotivo di fronte alle parole di questa anonima ragazza è forte, viene naturale considerarla come una figlia: è una giovane donna che lancia un grido di disperazione e una lacerante richiesta di aiuto.

Il permanere della DAD per le scuole superiori non mi fa ben sperare in una risoluzione della problematica nel corrente anno scolastico: mamme e figlie siamo le due facce della stessa medaglia, unite dal medesimo martellante timore che non dà tregua.

silviamalaspina@libero.it

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