«Per l’Oltrepò serve un momento catartico»

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Il 28 maggio uscirà il suo album, Milano OltrePop, realizzato con gli “Staffora Bluzer”. Intanto Flavio Oreglio ci parla di musica delle 4 province e del futuro di questa terra

Uscirà il prossimo 28 maggio Milano OltrePop, il nuovo album di Flavio Oreglio con gli “Staffora Bluzer”. A pochi giorni dal lancio, abbiamo incontrato il “poeta catartico” e con lui abbiamo parlato del nuovo lavoro, di musica, di Milano, di cabaret e di Oltrepò.

Oreglio, da dove nasce questa nuova avventura?

«Questa è un’avventura che non inizia adesso, Milano OltrePop è in realtà il secondo atto di un progetto cominciato quasi per gioco e un po’ per caso al Passo del Brallo nell’estate del 2017, quando, in occasione del 2° Genetliaco del Circolo dei Poeti Catartici (il locale che avevo inaugurato nel 2015 in occasione del mio Trentennale on stage) nell’ambito del progetto “Open SArt Oltrepò”, ho incontrato Stefano Faravelli e Matteo Burrone. In quella circostanza, Stefano e Matteo oltre a esibirsi come duo (da anni sono tra i più apprezzati cultori della “Musica delle 4 province”) mi hanno proposto di suonare qualcosa insieme. Niente di strano, a parte il fatto che la richiesta fu fatta un paio di giorni prima dello spettacolo. Quando si dice “rispettare la tempistica”. Comunque trovammo un terreno comune nella passione per le canzoni della tradizione milanese, da Svampa ai Gufi, da Gaber a Jannacci. A casa mia, la sera prima dello spettacolo, abbiamo provato al volo qualche pezzo. Il giorno dopo durante il sound check pomeridiano venne ad ascoltarci Daniele Bicego, suonatore di musa e strumenti vari. Che cosa fai in questa situazione? Non lo inviti a suonare? E così il trio divenne un quartetto. Sembra un po’ la storia dei suonatori di Brema, ma è andata così. L’esibizione ci divertì moltissimo e suscitò un entusiasmo incredibile nel pubblico. Nel giro di pochi mesi abbiamo pubblicato un primo album intitolato Anima Popolare che ha incontrato l’interesse della LDP di Luca Bonaffini (tra l’altro coautore del brano omonimo) che ci ha proposto (e noi abbiamo accettato) di tramutare il disco in un progetto a più ampio respiro. Così Anima Popolare è diventato una trilogia, e l’idea originaria della rilettura della tradizione cantautorale milanese si è trasformata nel secondo momento di questo percorso».

Un nuovo lavoro che arriva quando siamo ancora in pandemia. Un bel messaggio di ripresa e di speranza, vero?

«Sì, possiamo anche vederla in questi termini. La pandemia in un primo momento ci ha messo i bastoni tra le ruote, bloccando la realizzazione del progetto, ma in seguito abbiamo fatto di necessità virtù. Mai arrendersi! Il Coronavirus ci ha regalato tanto tempo (anche se nessuno gliel’ha chiesto) e noi ne abbiamo approfittato per finire con calma il disco, nonostante le difficoltà di spostamento. Mentre lo stiamo pubblicando, arrivano i primi segnali concreti di riapertura e – speriamo – di ripresa. Potrebbe essere un bel caso di sincronicità. Se arriverà il momento in cui ritrovarsi tornerà a essere chiamato “aggregazione” e non più “assembramento”, noi saremo pronti per portare sui palchi, nelle piazze, nei teatri e nei locali uno spettacolo che affonda le radici nella semplicità e nel sapore delle feste popolari, offrendo al tempo stesso spunti di riflessione e momenti molto divertenti di satira e umorismo».

Sono tante le atmosfere che si respirano nel nuovo disco. C’è la sonorità delle Quattro Province…

«Questo è il perno di tutto il discorso. Il progetto nasce proprio attorno alle sonorità caratteristiche di questa musica popolare straordinaria (pare che sia una delle cinque musiche autoctone italiane) basata sul classico “piffero” accompagnato da fisarmonica e musa. Noi abbiamo integrato questa “formazione base” con strumenti più moderni come batteria, basso, pianoforte e chitarre creando un mix particolare ».

…e c’è anche tanta Milano.

«Sì. Perché Milano? In parte per questioni anagrafiche, ma non solo. In questo album convergono tre mondi artistici: canzone d’autore, approccio prog e cabaret. Sono tre argomenti correlati e Milano ne evidenzia i nessi. Soprattutto per quello che riguarda il connubio canzone d’autore-cabaret. Su quest’ultima parola bisogna fare molta attenzione. Perché cabaret non è lo spettacolo “comico” che siamo soliti pensare, ma è qualcosa di molto ma molto diverso. Il cabaret con i “comici” non c’entra assolutamente nulla. Quello che la televisione spaccia per cabaret, non è cabaret e una simile concezione è frutto di un pensiero errato e fuorviante che si è insediato in Italia dalla seconda metà degli anni ’70. Da vent’anni mi occupo della definizione del cabaret e gli studi sono sfociati nell’istituzione dell’Archivio Storico del Cabaret Italiano e nella pubblicazione del libro L’Arte Ribelle (Sagoma Editore) che racconta la storia del cabaret dalle sue origini (nel 1881 a Parigi) fino alla fine degli anni ’60 a Milano (il Derby del Gruppo Motore). Gli studi hanno dimostrato la stretta connessione che c’è tra la canzone d’autore e il cabaret, perché la canzone d’autore moderna è nata nei cabaret fin dalle origini».

Nel disco ci sono molti ospiti, Ricky Gianco, Lucio “violino” Fabbri, Enrico Intra, Umberto Faini, Paolo Tomelleri, Germano Lanzoni, Cochi Ponzoni, Alberto Patrucco, David Riondino, Fabio Treves, Alberto Fortis e Roberto Vecchioni. E poi c’è l’immenso Roberto Brivio…

«Già… Brivio. Roberto purtroppo ci ha lasciato per colpa del Covid, una grandissima perdita di una mente geniale, oltre che di un caro amico cui ero legato da stima e affetto profondissimi. Stavamo lavorando alla riproposta del repertorio dei Gufi insieme ad Alberto Patrucco e David Riondino ed eravamo in costante rapporto quotidiano. A Brivio piaceva moltissimo questo lavoro con gli “Staffora Bluzer”, era innamorato della nostra musicalità e non perdeva occasione per elogiare i ragazzi. Vedeva nel nostro approccio qualcosa di particolare e lui si appassionava a tutto ciò che era insolito. Quando è venuto in studio a registrare abbiamo dovuto legarlo a una sedia perché voleva cantare tutto l’album. Grande Roberto, a lui il disco è idealmente dedicato».

Tu parli spesso della nostra terra, l’Oltrepò, dove sei approdato. Come la vedi oggi?

«L’Oltrepò è una terra bellissima, solo che è un po’ abbandonata, forse poco curata. Non è possibile avere un paradiso come l’Alta Valle Staffora alle porte di Milano e non valorizzarlo. Non è possibile assistere al degrado e all’abbandono di posti del genere. L’Oltrepò collinare se la cava ancora abbastanza bene, ma la zona montana fa fatica. È chiaro che l’eterogeneità del territorio non permette di individuare una sola e precisa linea di condotta, ma una valorizzazione globale va perseguita in tutti i modi. La varietà è ricchezza, non un limite. Non riesco a capire cosa freni una decisa azione di promozione. Ci vorrebbe forse più unità d’intenti, più coordinamento tra i soggetti che vorrebbero ridarle forza, facendo conoscere le cose belle che il territorio offre, dai luoghi naturali ai prodotti tipici, dalle bellezze storiche alla ricchezza culturale. Serve un “piano promozionale” messo in atto da un soggetto forte che si prenda la briga di promuovere il territorio a più livelli: regionale, nazionale e – perché no? – anche internazionale. Bisogna però partire da obiettività e consapevolezza e per quello che vedo io, la mentalità di molte persone non aiuta. Certo, non è facile, perché per troppo tempo si è giocata una partita al ribasso, ma bisogna mettercela tutta e tentare di risalire la china. L’Oltrepò lo merita».

Nelle scorse settimane questo giornale ha ospitato un dibattito sul futuro del territorio tortonese e novese. Si parla tanto di rilancio. L’Oltrepò ha forse bisogno di un processo catartico? Da dove partire secondo te?

«Credo che tutta l’Italia abbia bisogno di rilancio e penso che l’azione locale possa e debba avere un ruolo importante in tal senso. Negli anni ’70 era in voga un bellissimo slogan che recitava “Pensare globalmente, agire localmente”. È un pensiero che ho fatto mio, e che muove il nostro progetto musicale perché parte localmente con l’intenzione di proiettarsi nel mondo. Spero che arrivi un momento catartico per l’Oltrepò, ma occorre che tutti comincino a remare nella stessa direzione con la piena coscienza dello status attuale, le giuste considerazioni economiche commisurate alla situazione, lasciando da parte calcoli politici di piccola bottega o ridicoli personalismi che lasciano il tempo che trovano. Ecco, partiamo da qui e vediamo che cosa succede».

Marco Rezzani

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