Le “Tartarughine Tortonesi” a Rivalta

Visualizzazioni: 970

Prima uscita del neonato gruppo di cammino “lento”

TORTONA – Ripartono all’insegna del turismo lento, le passeggiate del gruppo di camminatori delle Edicole Sacre del Tortonese, che ora, da un’idea di Ivana Boldrin e Maria Teresa Guagnini, hanno dato vita alle “Tartarughine Tortonesi”, una versione dolcemente slow dell’andare alla scoperta delle bellezze naturalistiche e artistiche del territorio. E così, armati di un’ilarità degna di una scolaresca in gita e dopo aver nominato Franco Cebrelli capitano del nuovo gruppo, il serpentone di una sessantina di partecipanti – suddiviso in tre raggruppamenti e guidato da Luciano Ferrario, Giacomo Seghesio e Carlo Gastaldi e dalla mascotte Buba – ha imboccato il sentiero dedicato ad Andrea Bricchi, scoprendo e riscoprendo il benessere del “passeggiare lentamente”. Meta prefissata: l’abbazia cistercense di Santa Maria di Rivalta Scrivia. Un gruppo di volontari – gli Amici dell’Abbazia di Rivalta – ha appassionatamente spiegato alle Tartarughine Tortonesi dettagli su origini, vicissitudini e curiosità legate ai monaci cistercensi che, per esempio, portarono l’acqua dal torrente Scrivia a Rivalta, che si trova più in alto, attraverso un sistema di rogge ancor oggi utilizzato dagli agricoltori. Cistercensi il cui ordine, però, cominciò ad indebolirsi a metà del ‘500 per poi essere scalzato dai benedettini e, via via, tra vendite dei beni ai privati e “riduzione” della chiesa abbaziale (che in parte fu abbattuta per lasciar spazio ad un grandioso edificio voluto dall’armatore genovese Agostino Airoli), si arrivò alla fine del secolo con l’uscita di scena pure dei benedettini e l’abbazia di Rivalta Scrivia diventò parrocchia. Dalla sala dei monaci a quella capitolare, passando per il dormitorio dove sono allestite una mostra di icone russe e una sull’Apocalisse con 24 tavole di arte contemporanea di Giuseppe Papetti, l’occhio cade su ogni singolo particolare di questo magnificente edificio, dove domenica 30 maggio alle 17.30 (obbligatorio prenotarsi) si terrà uno dei concerti del Festival Internazionale di Musica Echos.

Cosa manca in questo momento ad un tale gioiello? Un aiuto economico per portare avanti i restauri sia sulle pareti esterne che su una serie di affreschi e due altari laterali all’interno dell’abbazia. E poi c’è quell’organo – un Vegezzi Bossi del 1894, inaugurato dal padre di Lorenzo Perosi – che è muto dagli anni ’70 e che avrebbe bisogno di un accurato restyling per tornare ad emozionare con il suo timbro la platea dei fedeli.
Alessandra Dellacà

Commenti: 0

Il tuo indirizzo mail non sarà reso pubblico. I campi obbligatori sono segnati con *