Ballo da capogiro

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di Silvia Malaspina

La notizia è arrivata del tutto inattesa nel pomeriggio del 5 luglio: Raffaella Carrà si è spenta in una clinica romana per la solita, malefica patologia incurabile.

Per le donne della mia generazione, nate tra il 1965 e il 1975, è la perdita di un mito, di colei che ammiravamo ballare in una televisione per buona parte ancora in bianco e nero e della quale ci affascinava tutto: l’indomito caschetto biondo (che molto contribuì al successo sfolgorante del parrucchiere milanese Vergottini), le movenze per noi solo aggraziate, per gli adulti anche sensuali ma mai volgari, le mises sfavillanti che abbagliavano i nostri occhi di bambine ingessate in gonnelline “a godet” , calzine traforate e scarpe “con gli occhietti”.

E se questi per le giovani di oggi possono sembrare ricordi di un’era paleolitica, non altrettanto si può dire della Raffa nazionale: primo esempio di showgirl moderna e poliedrica come mai più nessuna, ha attraversato a passo di danza 50 anni della nostra storia, arrivando a mietere consensi unanimi anche tra i nativi digitali.

Le cronache famigliari narrano di come, ancora malferma sulle gambe, poiché avevo appena compiuto 1 anno, mi dimenassi davanti a quell’apoteosi del varietà che fu “Canzonissima” sulle note della sigla iniziale “Ma che musica maestro”; egualmente posso testimoniare che mia figlia, 37 anni dopo, mi costringeva a eseguire in coppia le coreografie dei balletti della Carrà, usciti in una doppia raccolta dvd a Natale del 2007, che registrò il record di vendite.

Il direttore di “Vanity Fair” ha affermato che «la Carrà ha scritto la storia senza prendersene il merito, anzi, restando sempre due passi indietro rispetto ai primi della fila, consapevole di aver rotto più di una barriera, ma anche di essere sempre rimasta un’eterna ragazza, capace come poche di destreggiarsi in tutte le arti – ballo, canto, conduzione e recitazione – senza una sbavatura, senza perdere quel sorriso che gli italiani hanno adottato nelle loro famiglie».

Raffaella se ne è andata così come ha vissuto: lasciando agli altri il clamore e riservando la discrezione tutta a sé. Nelle interviste – è stata anche ospite del “David Letterman Show” nel 1986 – non si è mai raccontata troppo: solo ultimamente aveva lasciato trapelare il dolore per non essere riuscita a coronare il sogno della maternità.

La notizia è arrivata del tutto inattesa nel pomeriggio del 5 luglio: Raffaella Carrà si è spenta in una clinica romana per la solita, malefica patologia incurabile.

Per le donne della mia generazione, nate tra il 1965 e il 1975, è la perdita di un mito, di colei che ammiravamo ballare in una televisione per buona parte ancora in bianco e nero e della quale ci affascinava tutto: l’indomito caschetto biondo (che molto contribuì al successo sfolgorante del parrucchiere milanese Vergottini), le movenze per noi solo aggraziate, per gli adulti anche sensuali ma mai volgari, le mises sfavillanti che abbagliavano i nostri occhi di bambine ingessate in gonnelline “a godet” , calzine traforate e scarpe “con gli occhietti”.

E se questi per le giovani di oggi possono sembrare ricordi di un’era paleolitica, non altrettanto si può dire della Raffa nazionale: primo esempio di showgirl moderna e poliedrica come mai più nessuna, ha attraversato a passo di danza 50 anni della nostra storia, arrivando a mietere consensi unanimi anche tra i nativi digitali.

Le cronache famigliari narrano di come, ancora malferma sulle gambe, poiché avevo appena compiuto 1 anno, mi dimenassi davanti a quell’apoteosi del varietà che fu “Canzonissima” sulle note della sigla iniziale “Ma che musica maestro”; egualmente posso testimoniare che mia figlia, 37 anni dopo, mi costringeva a eseguire in coppia le coreografie dei balletti della Carrà, usciti in una doppia raccolta dvd a Natale del 2007, che registrò il record di vendite.

Il direttore di “Vanity Fair” ha affermato che «la Carrà ha scritto la storia senza prendersene il merito, anzi, restando sempre due passi indietro rispetto ai primi della fila, consapevole di aver rotto più di una barriera, ma anche di essere sempre rimasta un’eterna ragazza, capace come poche di destreggiarsi in tutte le arti – ballo, canto, conduzione e recitazione – senza una sbavatura, senza perdere quel sorriso che gli italiani hanno adottato nelle loro famiglie».

Raffaella se ne è andata così come ha vissuto: lasciando agli altri il clamore e riservando la discrezione tutta a sé. Nelle interviste – è stata anche ospite del “David Letterman Show” nel 1986 – non si è mai raccontata troppo: solo ultimamente aveva lasciato trapelare il dolore per non essere riuscita a coronare il sogno della maternità.

Di tutte le mille arti in cui si è cimentata e di tutti i tormentoni che ha creato – dal numero di fagioli da indovinare alle “Carrambate” del «È quiiii!» – la lezione più importante che Raffaella Carrà ci ha lasciato è un’altra: perseguire gli obiettivi con caparbietà, abnegazione e professionalità, restando fedele a se stessa. Mi piace pensarla Lassù che, vestita con il suo iconico abito di chiffon con la farfalla sul davanti, si lancia in uno sfrenato “ballo da capogiro, ballo senza respiro”.

Di tutte le mille arti in cui si è cimentata e di tutti i tormentoni che ha creato – dal numero di fagioli da indovinare alle “Carrambate” del «È quiiii!» – la lezione più importante che Raffaella Carrà ci ha lasciato è un’altra: perseguire gli obiettivi con caparbietà, abnegazione e professionalità, restando fedele a se stessa. Mi piace pensarla Lassù che, vestita con il suo iconico abito di chiffon con la farfalla sul davanti, si lancia in uno sfrenato “ballo da capogiro, ballo senza respiro”.

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