Il diritto di contare
di Silvia Malaspina
Sono terminati da alcuni giorni gli esami di Maturità. Per molti studenti si pone il dilemma della scelta del futuro percorso di studi: su questa pesano le passioni personali, le possibilità di lavoro, il superamento delle selezioni d’ingresso ma, ad accumunare tutti i fattori sembra essere una strada ben precisa, che allontana le ragazze dalle discipline scientifiche.
Da una rapida occhiata ai dati ISTAT per l’istruzione, si può notare che tale divisione inizia già dalla scuola secondaria di secondo grado: nel 2020 i diplomati al liceo scientifico superano di 14.392 unità le compagne di sesso femminile; tale divario è ancora più netto per gli istituti tecnici, in cui i ragazzi sono 54.423 più delle ragazze.
Passando ai dati relativi all’Università, si evince che nel 2019 il 37,3% degli uomini ha conseguito una laurea nella cosiddetta area STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics), contro il 16,2% delle donne.
La reazione a catena si ripercuote nell’ambito lavorativo: le donne si trovano escluse dalle professioni collegate alle discipline tecnologiche, più remunerative, pertanto guadagnano meno, in media, degli occupati del sesso opposto.
Ma quali sono i motivi per cui in Italia le Università e le professioni tecnico-scientifiche sono popolate prevalentemente da maschi?
Tralasciando le predisposizioni fornite da madre natura (se io avessi frequentato una facoltà scientifica sarei divenuta la decana degli studenti fuori corso!) pare che le ragazze oggi, pur fiduciose nel fatto che la loro generazione sia la prima in cui donne e uomini sono trattati equamente, sono coscienti che questo non sempre accade nei lavori tecnico-scientifici, pertanto sono demotivate dall’intraprendere studi e carriere nell’ambito STEM.
Gli psicologi, infatti, fanno notare che nelle ragazze la curiosità per le scienze nasce intorno agli 11-12 anni, salvo poi venire messa da parte a favore delle discipline umanistiche prima dell’Università, anche a causa della scarsa presenza di modelli di successo femminili in questo campo e dell’idea generale che quelli tecnici siano “mestieri da uomini”.
L’assioma del monopolio maschile delle materie scientifiche è vecchio come il mondo ma, tornando ai dati ISTAT, si evince che le donne si laureano con voti più alti e in meno tempo rispetto ai colleghi uomini qualora intraprendano facoltà a indirizzo scientifico.
Come riuscire quindi a far sì che le donne abbiano il “diritto di contare” (come nell’omonimo film, che andrebbe proiettato nelle scuole)? Puntando i riflettori su esempi importanti di scienziate, eludendo la pessima abitudine che la storia ha di dare più luce agli uomini, spronando le ragazze a sperimentare: può essere che scoprano che la successione di Fibonacci è appassionante quanto una lirica di Leopardi.
silviamalaspina@libero.it