Aborto: quale diritto?
di Maria Pia e Gianni Mussini
Gianni e Maria Pia hanno già parlato della loro buona battaglia sul fronte della vita nascente. È venuto il momento di approfondirne le ragioni, tanto più ora che al Parlamento Europeo si è proposto di comprendere il diritto all’aborto tra i “diritti umani” fondamentali.
Occorre una premessa. Mai nessuno è stato più lontano di Gianni e Maria Pia da posizioni prolife estremiste e punitive nei confronti della donna. Il loro stile li porta a un aiuto non giudicante per chi fosse tentata dall’aborto: con il risultato che, in tanti anni, con amiche e amici del CAV (Centro di aiuto alla vita), hanno aiutato moltissime donne a tenere il loro bambino: ebbene, nessuna di queste si è pentita di averlo fatto, mentre tra le altre molte hanno espresso rammarico e amaro pentimento.
Che piaccia o non piaccia la legge in vigore, non è dunque in discussione la libertà di abortire. Manca semmai, con le debite eccezioni, una vera libertà di non abortire, con provvedimenti ad hoc. Tanto è vero che quando un ente pubblico stanzia qualche fondo in quella direzione, subito si leva il riflesso condizionato di certe arrabbiate femministe in difesa della «libertà di scelta delle donne».
Eppure, la stessa legge 194 (che nel 1978 depenalizzò l’aborto) riconosce “il valore sociale della maternità” e addirittura dichiara di tutelare “la vita umana dal suo inizio”, prevedendo persino “speciali interventi” per aiutare una donna a “superare le cause che potrebbero indurla all’interruzione di gravidanza”. Si tratta di indicazioni troppe volte disattese, tanto da favorire una sottocultura che ritiene l’aborto non una “tragica necessità” (come sostenevano i suoi promotori) ma un diritto assoluto.
Quelle indicazioni così rispettose della vita e della donna vennero addirittura rinforzate nel 1997 dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 35) che, respingendo la totale liberalizzazione dell’aborto previsto da un referendum radicale, insisteva sulla tutela del concepito e sul suo diritto alla vita, compreso “tra i diritti inviolabili” che appartengono “all’essenza dei valori supremi su cui si fonda la Costituzione italiana”.
Da quest’anno il CAV pavese – come è già stato ricordato in questa rubrica – sta tra l’altro partecipando al “progetto babymamme”, sostenuto dalla Regione Lombardia in collaborazione con altri centri lombardi. L’obiettivo è fornire un aiuto solidale alle adolescenti incinte: le stesse che la sottocultura di cui sopra vorrebbe incoraggiare all’aborto, con il rischio di precipitarle nei sensi di colpa e nella depressione.
Perché ai problemi dell’esistenza occorre sempre dare risposte positive, e un bambino è una di queste risposte se intorno a lui e alla sua mamma c’è chi è disposto a donare amicizia e condivisione.
Un ragionamento troppo difficile per le eccelse menti che operano al Parlamento europeo?
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