Quando Novi Ligure era la Wall Street del XVII secolo

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Si è tenuta di recente in città la “Festa della Moneta” dedicata alle cosiddette “Fiere di Cambio”. Ma perché è stato scelto proprio questo centro come teatro dell’approfondimento storico?

A Novi Ligure, alla fine del mese scorso, si è tenuta la “Festa della Moneta” dedicata a un approfondimento storico e divulgativo riguardante le cosiddette “Fiere di Cambio”.

Come mai un appuntamento finanziario di respiro internazionale, durante il XVII secolo, arrivò a tenersi proprio nei palazzi di questa città?

Lo svolgimento delle “Fiere di Cambio” a Novi Ligure fu il punto di arrivo di un processo storico iniziato molto lontano, nel tempo e nello spazio.

In occasione delle grandi fiere del basso Medioevo, a causa dell’affluenza di mercanti da tutta Europa, ognuno con la propria moneta, si resero necessari appositi incontri per stabilire i tassi di cambio tra le valute dei singoli stati di provenienza.

Col tempo nacquero fiere interamente dedicate all’attività dei cambiavalute e, in generale, alle contrattazioni monetarie senza compravendita di merci, che presero il nome di “Fiere di Cambio”.

A partire dal XV secolo la più importate Fiera di Cambio europea fu quella di Lione ma, dopo la fine delle Guerre d’Italia tra Carlo V d’Asburgo (Re di Spagna e Sacro Romano Imperatore) e Francesco I di Francia, che sancì la divisione dell’Europa in due blocchi, i banchieri legati all’area asburgica abbandonarono Lione e presero a riunirsi a Besançon, oggi città francese ma all’epoca inclusa nella Franca Contea che era feudo del sacro Romano Impero: di qui l’appellativo di “Fiere di Bisenzone” (versione italianizzata del nome Besançon) che continuò ad essere usato anche quando tali fiere cambiarono più volte sede fino a raggiungere Piacenza e poi, nel 1622, Novi Ligure, allora dominio genovese.

Lo spostamento all’interno dei confini della Repubblica di Genova non fu casuale.

Fin dai tempi di Andrea Doria, grazie al legame personale con Carlo V, le grandi e ricche famiglie della nobiltà genovese divennero le maggiori creditrici del Regno di Spagna sui cui domini non tramontava mai il sole, ma nei cui forzieri il denaro terminava sempre, e rapidamente, a causa delle spese per le continue guerre degli Asburgo contro Inghilterra, Olanda, Svezia e Francia.

I banchieri genovesi anticipavano, pagandole sul posto e in contanti, le spese, militari e non, che poi la Corona di Spagna rimborsava, attingendo all’oro e all’argento estratti dalle miniere del Nuovo Mondo.

A Novi Ligure le Fiere di Cambio si tenevano ogni tre mesi nel Palazzo del Capitano, all’epoca sede del funzionario genovese che governava la città e il territorio (edificio oggi posto lungo l’attuale via Paolo da Novi, e indicato come “Antica sede municipale”): in alternativa, venivano scelti alcuni tra i più bei palazzi della città, tre dei quali saranno visitabili grazie al FAI sabato e domenica prossimi (per informazioni si rimanda al sito www.fondoambiente.it).

Seguendo una procedura meticolosamente codificata, gli emissari del re di Spagna e quelli delle famiglie genovesi contrattavano prestiti a interesse mediante un complesso giro finanziario basato sull’emissione di “lettere di cambio” (strumento bancario diffuso nel Medioevo grazie al banchiere italiano Francesco Datini) da una città a un’altra: a ogni passaggio si applicava un prezzo ufficialmente giustificato dal cambio da una valuta all’altra ma che, di fatto, generava un interesse attorno tra l’1% e il 2% su base non annuale, ma trimestrale.

Questo espediente, utilizzato per mascherare il prestito a interesse, allora vietato per motivi religiosi, fece diventare Novi Ligure la “Wall Street” del XVII secolo e, soprattutto, rese Genova sempre più ricca e invidiata anche dagli stessi Spagnoli; non a caso, infatti, la lettera cambiale veniva comunemente detta da loro “lettera dei Genovesi”, e il poeta iberico Francisco de Quevedo scrisse a proposito di “don Dinero”, personificazione di quello che oggi chiameremmo “il dio denaro”: “Nasce nelle Indie ed è onorato / e da lì lo si accompagna; / a morire viene in Spagna / e a Genova è sotterrato”. Questa enorme disponibilità di denaro contante permise alle grandi famiglie nobili genovesi (Adorno, Balbi, Brignole-Sale, Centurione, Doria, Durazzo, Grimaldi, Negrone, Pallavicini, Sauli, Spinola), diventate potenti operatrici del mercato finanziario, di trasformare Genova, e Novi Ligure con lei, rivestendola di chiese e palazzi di nuova costruzione, arricchiti con sculture e dipinti in stile barocco che testimoniano ancor oggi, anche quando bisognosi di restauro, un’epoca storica irripetibile: quella che per gli Spagnoli fu “el siglo de oro” e che in Italia coincise con il periodo della supremazia spagnola, età che Alessandro Manzoni, ne I Promessi Sposi, liquidò come “sudicia e sfarzosa” e che invece andrebbe approfondita e rivalutata proprio come è stato fatto durante la “Festa della Moneta” a Novi Ligure.

Andrea Scotto

Per le foto si ringrazia il Comune di Novi Ligure

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