Parlare in pubblico

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di Patrizia Ferrando

La settimana scorsa abbiamo parlato dei dubbi e dei sensi di disagio che possono sorgere a tavola, ad esempio in occasione di una cena formale. Ma, anche alla più empirica delle statistiche, la regina delle situazioni imbarazzanti sembra essere un’altra: parlare in pubblico. Non tratteremo qui delle tecniche del cosiddetto public speaking, vedremo però qualche suggerimento (assolutamente sperimentato) che può aiutare a sentirsi più disinvolti anche quando non c’è alcuna platea ad aspettarci, bensì un argomento da esporre davanti a qualche persona, un colloquio o un dialogo che pongano in atto la famigerata spada di Damocle del “voler fare bella figura”.

Prima di tutto guardiamo a postura e atteggiamenti, che fanno anche parte di quello che un tempo veniva detto comunemente “contegno”, auspicabile da tenersi durante cerimonie religiose e civili o nelle riunioni.

Punto primo: bisogna stare composti senza stare rigidi, cosa meno facile di quanto suoni a dirsi. Tutti sappiamo di dover tenere le ginocchia vicine, mentre le braccia non andranno mai ad allontanarsi troppo dal corpo; nel farlo, però, è importante mantenere le spalle rilassate, non tendere il collo e nemmeno incassarlo. Sulle sedie non si “sviene”, ma nemmeno si siede sul bordo.

Andranno evitati tutti quei gesti all’apparenza minimi, che tuttavia denotano nervosismo e risultano fastidiosi. Non bisogna, quindi, toccarsi i capelli o giocherellare con le ciocche, passarsi il dito all’interno del colletto o di un polsino, sfiorarsi il naso o il mento, far ruotare od oscillare con insistenza anelli, braccialetti, orecchini.

Va bandita la tentazione di darsi una spolverata se notiamo un capello o un alone (ritorniamo alle cose da fare in luogo riservato) e, al femminile, aggiustare di continuo la scollatura dell’abito, una spallina o l’orlo della gonna garantisce pessimo effetto.

Le mani, grande dilemma, giocano da alleate se rimangono in vista, tranquille senza rigidità, magari coi palmi spesso rivolti in fuori: non fatele sparire in tasca o fra le braccia conserte, non torcetele in grembo, non ingaggiate battaglie forsennate con penne o chiavi.

Venendo al vero e proprio modo di parlare, bisognerebbe per prima cosa impegnarsi a eliminare quegli «eeeeeh» o altri “suoni di riempimento” che quasi ci escono di bocca in modo involontario, a ogni pausa e momento d’incertezza, e risultano oltremodo fastidiosi, oltre che distraenti. Il tono di voce non dovrebbe far venire in mente grida selvagge, e nemmeno stentati bisbigli; nello stesso tempo il ritmo troppo veloce, “a macchinetta”, riesce a indisporre quanto la lentezza esasperante.

patrizia.marta.ferrando@gmail.com

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