Da Pavia a Memphis per curare i bambini come Aurora
Per la Giornata Mondiale del Malato, che ricorre domani, venerdì 11 febbraio, abbiamo intervistato la dottoressa Francesca Benini che ha iniziato a fare ricerca grazie agli “Amici del 4 Piano”
Dal 2013 il gruppo degli “Amici del 4 piano” svolge la sua attività a favore del reparto di Oncoematologia pediatrica del Policlinico “San Matteo” di Pavia. Sono molte le iniziative messe in cantiere per il 2022 dall’associazione guidata dal tortonese Alessandro Baldi. Tra queste la decisione di sostenere l’attività di ricerca. In particolare, continuerà la collaborazione con Francesca Benini, ventottenne pavese, medico e vincitrice della prima edizione del “Premio di Studio” in memoria di Aurora Franzè (una bambina in cura al “San Matteo” e scomparsa nel 2017 di cui abbiamo raccontato nel numero di Natale, ndr) e verrà finanziato un suo progetto negli Stati Uniti sulla caratterizzazione molecolare della leucemia acuta pediatrica.
Alessandro Baldi ha intervistato Francesca per noi. Le sue parole, in occasione della Giornata Mondiale del Malato, che cadrà domani, venerdì 11 febbraio, sono un monito a non dimenticare, ancor più in questi tempi di pandemia, l’importanza della ricerca e del sostegno convinto da parte di tutti i cittadini a quanti ogni giorno lavorano per assicurare un futuro migliore soprattutto alle nuove generazioni.
di Alessandro Baldi
Francesca, raccontaci la tua storia universitaria e le ragioni per le quali hai scelto di studiare Medicina.
«La ricerca mi ha affascinato sin da piccola: ho avuto la fortuna di avere due buoni esempi di dedizione alla ricerca in ambito scientifico in famiglia, mio padre e mio fratello. A 16 anni ho scoperto di avere un problema di salute; è stato in quel momento che per la prima volta ho riflettuto sul fatto che ci fossero tante persone che soffrivano. Quando è stato il momento di iscrivermi all’università, la scelta su Medicina è ricaduta quasi come ovvia: i miei sforzi avrebbero trovato senso solo se rivolti a provare, nel mio piccolo, ad alleviare la sofferenza di qualcuno. Sul finire del mio percorso universitario ho rivolto il mio interesse verso l’Oncoematologia pediatrica, prima con un tirocinio nel reparto del “San Matteo” a Pavia, poi con una tesi di laurea sulla terapia della leucemia linfoblastica acuta svolta all’ospedale “Bambino Gesù” di Roma».
Come hai conosciuto gli “Amici del 4 Piano”?
«Nell’autunno del 2017, durante il mio tirocinio in Oncoematologia pediatrica di Pavia, ho incontrato Aurora nei corridoi del reparto: la ricordo bene, una vera forza della natura. Quando, due anni e mezzo dopo, ho saputo di aver vinto il premio di laurea dedicato a lei promosso dagli “Amici del 4 Piano”, alla gioia ha subito fatto seguito un sentimento di profondo onore, perché sapevo bene chi fosse Aurora e quanto grande fosse la responsabilità di aver ricevuto una parte della sua “eredità spirituale”».
Attualmente dove stai lavorando e in quali ricerche sei coinvolta?
«Durante la tesi ho seguito un progetto su una terapia sperimentale per le leucemie linfoblastiche acute basata sulla modifica genetica di cellule del sistema immunitario, chiamata CAR NK cells. Dopo la laurea ho proseguito la mia formazione prima con una borsa di ricerca all’ospedale “Bambino Gesù” e poi con il corso di Specializzazione in Pediatria all’Università La Sapienza. In questi anni ho collaborato e tuttora prendo parte ad alcuni progetti che studiano i linfociti T, e in particolare i meccanismi con cui il sistema immunitario si ricrea dopo il trapianto di cellule staminali ematopoietiche nei pazienti pediatrici, con l’obiettivo di identificare nuove strategie in grado di accelerare la rigenerazione immunitaria».
Quest’anno gli “Amici del 4 Piano” desiderano sostenere il tuo progetto negli USA sulla caratterizzazione molecolare delle leucemie acute pediatriche. Ci puoi parlare un po’ più in dettaglio di tale progetto e del perché hai deciso di dare il tuo contributo a questa ricerca?
«Sono davvero felice di potervi parlare di questo. Negli Stati Uniti, e più precisamente al St Jude Children’s Research Hospital di Memphis, mi unirò a un gruppo che si occupa di studiare i meccanismi molecolari alla base delle leucemie acute nei bambini. Ciò è possibile mediante innovativi metodi di sequenziamento del DNA (chiamati bulk sequencing e single cell sequencing), che permettono di ricercare la presenza di mutazioni nel patrimonio genetico dei pazienti. Dopo aver identificato i potenziali geni che causano la malattia, si possono generare dei modelli di leucemia utilizzando un’altra tecnica innovativa in grado di silenziare delle sequenze di genoma, il cosiddetto sistema CRISPR-CAS9 (oggetto di Premio Nobel della Chimica nel 2020… e già metodo applicato in medicina!).
Questo progetto ha fin da subito suscitato in me grande interesse, perché rispecchia a pieno la mia idea di ricerca in campo oncoematologico: trovo che un approccio a 360 gradi, che parte dal letto del paziente ponendosi delle domande precise e che si serve di tecnologie di ultima generazione, sia cruciale per comprendere la biologia delle malattie ematologiche e poi tradurre le nuove scoperte nella pratica clinica».
In Italia ci sono progetti analoghi in ambito oncologico?
«Anche in Italia si fa tantissima ricerca di alto profilo in campo oncoematologico, ma trovo che ciò che rende davvero unico il progetto che ho scelto di seguire a Memphis è la sua completezza, partendo dalla caratterizzazione della malattia per arrivare al suo trattamento, con l’obiettivo di identificare nuove strategie terapeutiche sempre più mirate, sfruttando alcune fra le tecnologie più avanzate attualmente disponibili in questo campo».
Che cosa ti aspetti da questa tua attività di ricerca e quali risultati vorresti raggiungere al termine della tua esperienza di ben 18 mesi negli Stati Uniti? Spesso si parla di ricercatori che “scappano” all’estero e della mancanza nel nostro Paese di adeguati finanziamenti: quali sono i benefici per l’Italia nel caso di importanti risultati?
«L’obiettivo che mi propongo di raggiungere è apprendere le tecniche di sequenziamento e di genome editing in applicazione alla ricerca oncologica; al mio rientro, il mio più grande desiderio sarebbe poter mettere in pratica le mie nuove conoscenze qui, nel mio Paese. L’istruzione universitaria italiana offre opportunità di altissimo profilo, rendendo i nostri ricercatori estremamente validi e competitivi nel panorama internazionale. Purtroppo, troppe volte accade che fare ricerca in Italia sia un percorso molto difficile e meno valorizzato se paragonato ad altre realtà oltre confine, e tanti decidono di proseguire il proprio percorso all’estero o abbandonano la ricerca. Abbiamo centri di ricerca in Italia di grande valore, riconosciuti anche all’estero… Sarebbe un sogno tornare in Italia e mettere in pratica ciò che imparerò per dare il mio contributo».
Secondo te, il grande sforzo della ricerca per sconfiggere la pandemia da Covid-19 può portare un contributo anche in ambito oncologico? Per esempio, può contribuire allo sviluppo di nuovi vaccini?
«I vaccini Pfizer – BioNTech e Moderna sono frutto anche della ricerca in campo oncologico. I vaccini a RNA messaggero, infatti, erano già oggetto di studio nell’ambito della lotta contro il cancro, prima di essere utilizzati nella lotta contro il Coronavirus, ed è stato anche grazie a queste ricerche pregresse che lo sviluppo di questi vaccini è stato possibile in tempi rapidi. La pandemia, che ha messo in grande difficoltà il mondo intero, ha dimostrato quanto sia fondamentale investire e avere fiducia nella ricerca per far fronte alle sfide del presente, anche in un’ottica globale. Senza dubbio, i risultati ottenuti con i vaccini per il Coronavirus saranno utili per i nuovi sviluppi anche in campo oncologico».