I fumi dell’alcol

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di Patrizia Ferrando

Nessuno indicherebbe un individuo ebbro come persona elegante, tantomeno come esempio di buone maniere, come minimo per la mancanza di autocontrollo e la facilità con cui scade in frasi o azioni poco rispettose verso se stesso e gli altri.

Eppure, anche se, ovviamente, berli è libera opzione, vini e liquori occupano un posto troppo importante nella nostra cultura conviviale per poter ignorare i dubbi che ruotano attorno ai bicchieri.

Nel 1802, Melchiorre Gioia, economista e intellettuale legato a Foscolo e alla Repubblica Cisalpina, osteggiato con forza da Antonio Rosmini, pubblicò la prima edizione del suo manuale di galateo, con l’intento di formare “uomini di mondo”. Ebbene, nel testo parte dalle libagioni della Roma imperiale, per poi indicare i primi secoli del medioevo come tempi di ebbrezze dissipate, e segnalare un cammino di riscatto già dal 1200 circa, con tanto di esempi illustri, tra concili e giuramenti papali e imperiali, di scudi levati contro l’ubriachezza.

Difficile stabilire quanto fosse convinto e quanto, invece, volesse persuadere, ma Gioia afferma che, nel suo tempo, alzare troppo il gomito voleva dire infimo status sociale, impresentabile amoralità e totale ignoranza.

Con buona pace di Gioia, tuttavia, capita che qualcuno esageri. Gli effetti, lo sappiamo, variano di molto, dai sonnolenti ai molesti. Se accade, trovarci tra adulti non esime i padroni di casa o, in un locale, amici di buon senso, dal dare modo a chi emana fumi alcolici di rinfrescarsi nel fisico e nelle idee. Nei casi estremi, bisogna sincerarsi che arrivi a casa incolume, senza nuocere a nessuno.

Ciascuno conosce il suo proprio limite tra l’apprezzamento di una ricchezza del palato e la perdita di lucidità. Come con un semplice segnale di stop, basta non oltrepassare. Da sfatare è la leggenda secondo la quale gli alcolici, su chi non è abituato, sortirebbero un magico effetto di scioglimento dell’eloquio e di superamento delle insicurezze. Ricordo un disastro generato da una generosa dose di whisky somministrata da un paio di spregiudicati a un modesto oratore, che smise, sì, di mostrarsi esitante, ma solo per divenire offensivo e imbarazzante.

Possiamo dire che, per bere con garbo, basta non riempire troppo i bicchieri, non vuotarli in un sol sorso, lasciare i rituali da degustazione ai sommelier nell’esercizio delle loro funzioni.

E gli astemi? Non berranno alcool, evidentemente, ma declineranno con garbo e discrezione il gesto di chi volesse versare loro del vino. In caso di brindisi solenni, accetteranno qualche goccia, e leveranno il calice per poi portarlo verso le labbra, per partecipazione al momento augurale.

patrizia.marta.ferrando@gmail.com

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