Basta un referendum per un’emergenza?

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L’opinione

di Lauro Paoletto

«Un profondo processo riformatore deve interessare il versante della giustizia. Per troppo tempo è divenuta un terreno di scontro che ha sovente fatto perdere di vista gli interessi della collettività.

Nella salvaguardia dei principi, irrinunziabili, di autonomia e di indipendenza della Magistratura l’ordinamento giudiziario e il sistema di governo autonomo della Magistratura devono corrispondere alle pressanti esigenze di efficienza e di credibilità, come richiesto dai cittadini. È indispensabile che le riforme annunciate giungano con immediatezza a compimento (…).

I cittadini devono poter nutrire fiducia e non diffidenza verso la giustizia e l’Ordine giudiziario. Neppure devono avvertire timore per il rischio di decisioni arbitrarie o imprevedibili».

Era il 3 febbraio 2022. Sergio Mattarella era stato appena rieletto presidente della Repubblica. Nel suo Messaggio al Parlamento nel giorno del giuramento dedica un ampio e quanto mai significativo passaggio alla giustizia di cui abbiamo riportato alcuni stralci in apertura.

Alla vigilia del voto del 12 giugno sui cinque referendum sulla giustizia voluti da Lega e Radicali queste parole assumono, se possibile, un’urgenza ancora maggiore.

Il passaggio preciso e vibrante sulla Magistratura, riservato dal Capo dello Stato, nel suo discorso alle Camere, esprime tutta la drammaticità della situazione in cui si trova, da troppi anni, la giustizia italiana e l’assoluta urgenza di uscire da una situazione insostenibile per un Paese democratico che voglia seriamente affrontare le molteplici sfide che ha di fronte. La Magistratura ha necessità di ritrovare autonomia e indipendenza, efficienza e credibilità, autorevolezza e affidabilità. Per tutte queste ragioni il processo riformatore al quale il presidente Mattarella (in quanto anche presidente del Consiglio Superiore della Magistratura) fa riferimento, non è più rinviabile.

Non è dunque un caso che tale riforma rappresenti una delle priorità del Governo Draghi. La bozza elaborata dal Ministro della Giustizia Marta Cartabia, dopo estenuanti trattative, sembra in dirittura d’arrivo: approvata lo scorso anno dalla Camera è calendarizzata al Senato, per il voto definitivo il 14 giugno (subito dopo il referendum). Contro questa riforma hanno tuonato i magistrati che, a metà maggio, hanno addirittura scioperato: che un potere costituzionale dello Stato scioperi contro lo Stato che dovrebbe tutelare è una situazione lunare che mostra il difetto corporativo che abita la giustizia italiana e come vada fermato il cortocircuito istituzionale che da anni avvelena la vita democratica del Paese.

Le questioni affrontate dai referendum (incandidabilità e decadenza, limitazione delle misure cautelari, passaggio tra giudici e pubblici ministeri, consigli giudiziari, candidature al Csm) sono importanti e possono in sé rappresentare una spinta alla riforma. Rimangono due dubbi non di poco conto: i quesiti toccano aspetti particolari di un problema che ha invece assoluto bisogno di una riforma organica che ovviamente il referendum non garantisce; in secondo luogo gli interrogativi per cui siamo chiamati a votare sono molto tecnici e specifici. Ma il referendum, così come previsto dalla Costituzione, è pensato anche per materie così particolari, rispetto alle quali servono competenze che molti cittadini non hanno.

Comunque vada il risultato, rimane tutta l’urgenza di una riforma che appare sempre più vitale per la vita democratica del Paese.

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