Chiamami quando arrivi
di Silvia Malaspina e Carolina Mangiarotti
Gli accordi sull’orario del rientro dalle uscite serali sono sempre molto articolati e necessitano spesso di lunghe ed estenuanti trattative, prima di essere definitivamente codificati, specie nel periodo delle vacanze estive, quando vengono meno gli spauracchi scolastici del «non posso fare tardi: domenica mattina devo alzarmi a studiare, ho una settimana zeppa di verifiche.» Nel nostro caso entra in gioco anche la fantasiosa rivendicazione di un improrogabile recupero dalla pregressa reclusione domestica, dovuta sia alla famigerata zona rossa pandemica, sia alle tempistiche dell’attività agonistica, che prevedevano trasferte domenicali in orari antelucani e conseguenti precoci abbandoni tra le braccia di Morfeo al sabato sera.
Dopo l’agognato traguardo del conseguimento della patente di guida e quindi di un certo grado di autonomia, le uscite provocano ansia in chi resta a casa, ma, finché ci si trova nel proprio habitat naturale, si ha l’illusione di riuscire a tenere tutto sotto controllo, per il solo fatto di avere una georeferenziazione abbastanza precisa della movida. Vige poi la ferrea regola dell’avvisare, anche solo tramite messaggio, in caso di ritardi o spostamenti non preventivati, nonché, al rientro, di palesarsi fisicamente al cospetto dei genitori, che tentano di riposare in quello che in queste occasioni si tramuta in un letto da fachiro.
Durante le recenti ferie agostane, trovandoci in “terra straniera” e avendo in dote anche un’amica, la situazione si è complicata: «Dopo cena andiamo nel bar sulla spiaggia che abbiamo visto ieri: è carino, si può anche ballare e ci sono un sacco di giovani.» «Va bene, però restate lì e non andate in giro per locali: non conoscete la zona e siete solo in due. Non vi trovate a Tortona o a Salice, dove frequentate sempre le stesse persone; non sapete chi potreste incontrare. Fatemi stare tranquilla: almeno in ferie vorrei dormire in pace, senza il cellulare sul comodino! Comunque, chiamatemi quando arrivate.»
La nottata trascorre apparentemente senza problemi ma, presa tragica consapevolezza dell’arrivo di aurora dalle dita di rosa senza che le pulzelle interrompessero il sonno di chi indugiava in molli piume, stava per scatenarsi l’inferno, quando ecco che le due ragazze, semiaddormentate, fanno capolino dalla porta della loro camera: «Perché mi chiami sul cellulare alle 5.30 del mattino? Stavamo dormendo!» «Non mi avete avvertito quando siete rientrate! Mi sono svegliata, ho visto l’ora e mi è venuto un colpo!» «Non volevo disturbarti! Lo hai detto tu che sei stanca e hai bisogno di riposare! Dormivi così profondamente che mi dispiaceva chiamarti! Comunque all’una eravamo a casa: il bar chiude a quell’ora e ci siamo anche annoiate, perché non conoscevamo nessuno. Molto meglio la movida nostrana!»
silviamalaspina@libero.it