Speciale 50° di sacerdozio
Mons. Pietro Lanati. La Messa nella basilica di Broni dove era stato ordinato
«Continuo a lavorare nella Sua vigna»
«Desidero lavorare ancora, finché il Signore lo vorrà, nella sua vigna, che è questa Chiesa». Domenica 11 settembre, nella basilica minore di San Pietro a Broni, monsignor Pietro Lanati, 75 anni, ha ricordato il 50° anniversario di sacerdozio: il 10 settembre 1972, proprio in quella chiesa, l’allora vescovo di Tortona, Monsignor Giovanni Canestri, lo aveva ordinato prete a 25 anni. E dopo mezzo secolo don Lanati ha voluto festeggiare questo importante traguardo insieme all’arciprete di Broni, monsignor Mario Bonati, all’arciprete di Stradella, don Gianluca Vernetti, e a tanti parrocchiani di Broni, Stradella, Portalbera, Bosnasco e Zenevredo. Nella sua vita sono stati tanti gli incarichi assegnati a don Pietro: dopo l’ordinazione è stato dal 1972 al 1974 viceparroco a Pontecurone nella parrocchia di Santa Maria Assunta e dal 1974 al 1980 viceparroco in Duomo a Voghera; dal 1980 al 2004 è stato parroco della parrocchia di San Giovanni Battista a Pontecurone e dal 1997 anche di Casalnoceto. Dal 2004 al 2020 è stato parroco di Stradella e dal 2010 ha assunto la responsabilità anche di Portalbera, Bosnasco e Zenevredo. Attualmente è parroco di Portalbera, amministratore parrocchiale di Bosnasco e Zenevredo, aiuto pastorale a Stradella. Numerosi anche gli incarichi rivestiti in Diocesi dove, tra l’altro, è stato vicario episcopale e delegato vescovile dell’Oftal dal 1997 al 2009. Oggi è vice presidente del consiglio di amministrazione dell’Istituto diocesano per il sostentamento clero e vicario foraneo del vicariato di Broni-Stradella. Nel 2010 è stato nominato monsignore.
«Quel 10 settembre 1972 Monsignor Canestri, vescovo di Tortona, mi ha consacrato prete. – ha detto Lanati nell’omelia – Ho detto grazie al Signore quel giorno, rinnovo il mio ringraziamento al Signore oggi. Il sacerdozio è dono di Dio all’umanità, dono prolungato nel tempo dell’unico sacerdozio di Cristo. Devo dire che devo fare ancora molta strada per avvicinarmi al modello di prete, ma c’è il Signore con la sua grazia e ci siete voi con la vostra preghiera per me».
Con l’avvento del 50° di sacerdozio, don Lanati ha ripercorso le tappe del suo ministero come viceparroco e parroco nelle tante comunità cristiane che ha servito in diverse zone della diocesi: «Sento il dovere di ringraziare la Provvidenza per avermi fatto incontrare e conoscere splendidi cristiani, veri testimoni di fede che mi hanno edificato e incoraggiato. – ha affermato – Sono arrivato a buon punto del cammino. Con l’aiuto di Colui che mi ha chiamato ad essere prete, desidero lavorare ancora, finché Lui lo vorrà, nella sua vigna che è questa umanità e questa Chiesa. San Luigi Orione, in una lettera che ha inviato dall’Argentina ai suoi figli spirituali, rivolgendosi alla Madonna, ha scritto queste parole: “Ci hai voluti servi, fratelli e padri dei poveri, totalmente abbandonati alla Divina Provvidenza, e ci hai dato, o Maria, fame e sete di anime”. A tutti chiedo di pregare per me, perché in me vi sia sempre il desiderio di portare anime a Gesù Cristo, unico e vero Salvatore del mondo. Grazie al dono del Sacerdozio, rendo possibile che in ogni tabernacolo si compia la promessa di Gesù di non lasciarci orfani e di essere sempre con noi fino alla fine del mondo».
Don Beniamino Riccardi. Per 40 anni in Argentina accanto a famiglie che non hanno niente
Missionario nel Paese di Papa Francesco
Cinquant’anni di sacerdozio di cui quaranta passati in terra di missione in Argentina, il Paese di origine di Papa Francesco. Il 10 ottobre 1972, a Rovescala, don Beniamino Riccardi, oggi 77 anni, è stato ordinato sacerdote, dopo aver frequentato il seminario a Tortona e la Facoltà teologica a Milano. Ma in diocesi don Beniamino è rimasto poco tempo: conclusa la breve esperienza come curato a Silvano d’Orba, nel febbraio del 1974 è partito per l’Argentina. L’allora vescovo di Tortona, Monsignor Giovanni Canestri, accettò la richiesta di don Beniamino, che in quel modo esaudiva il sogno che aveva fin da bambino ovvero quello di diventare missionario, grazie alla possibilità data dall’enciclica Fidei Donum di Papa Pio XII di collaborazione tra le Diocesi italiane con quelle più povere del mondo.
E, così, dopo aver studiato tre anni a Verona, al seminario “Cum” per l’America Latina, fece la valigia per l’Argentina: la parrocchia di Herrera aveva un’estensione di 50 chilometri per 45, tre centri principali e 12 mila abitanti in tutto; la coltivazione della terra come unica forma di sostentamento per i suoi parrocchiani; da una chiesa all’altra, don Riccardi si spostava in motorino. In quel periodo il missionario ha insegnato Filosofia e Psicologia nelle scuole serali, ha suddiviso la parrocchia in varie comunità affidate alla gente del luogo, ha costruito dieci chiese in vari paesi e, infine, ha fondato l’Efa, la Scuola della Famiglia Agricola, a Santiago del Estéro, per provvedere all’istruzione di 150 ragazzi provenienti da famiglie poverissime e a cui, altrimenti, l’istruzione sarebbe stata negata. L’istituto agrario è gestito dai genitori e i giovani studiano a intervalli di due settimane, perché non possono stare troppo spesso tra i banchi di scuola, altrimenti alle loro famiglie verrebbe a mancare la manodopera. Durante le settimane pastorali, poi, tantissimi giovani parrocchiani partecipavano alle catechesi, dove, oltre al Vangelo, si parlava molto dei problemi reali, come la terra e la mancanza d’acqua.
Nel 2012 una nuova svolta nella vita del sacerdote oltrepadano, ovvero il ritorno a casa per accudire la madre anziana, scomparsa pochi giorni dopo il suo arrivo. Don Beniamino così ha deciso di rimanere in Italia e gli sono state affidate dal vescovo Mons. Martino Canessa le parrocchie di Montecalvo Versiggia, Casella e Canevino, di cui è parroco attualmente. Ma l’attaccamento alla “sua” Argentina non si è mai affievolito, tanto che ogni anno, in estate, per almeno un mese, don Riccardi torna in America del Sud. Anche in Val Versa ha fatto conoscere il Paese che lo ha accolto per tanti anni, organizzando a Montecalvo il festival “Amici dell’Argentina” per raccogliere fondi per proseguire con i lavori nelle missioni.
Don Giuseppe Bruniera. Il profilo tracciato dall’amico mons. Marco Daniele
Sempre con i giovani e con i poveri
Don Giuseppe Bruniera nasce nel comune di Pasiano, in provincia di Pordenone, il 19 novembre 1945. Il 4 novembre 1957 entra nel nostro seminario diocesano e il 20 agosto del 1972 il vescovo Mons. Giovanni Canestri lo ordina sacerdote. Inizia il suo ministero come vice parroco a Bressana Bottarone fino al 1974 quando approda a Novi Ligure, città nella quale rimane per 34 anni, prima come curato a San Nicolò e poi come parroco del Sacro Cuore. Dal 2008 al 2012 è parroco di Serravalle Scrivia per poi fare ritorno a Bressana Bottarone dove risiede tuttora. È amministratore anche delle parrocchie di Argine, Casatisma e Robecco Pavese.
A lui si deve la presenza del Banco Alimentare nella nostra diocesi, realtà importante per arginare i problemi della povertà che di anno in anno sono andati sempre più aggravandosi.
Negli anni novesi mons. Marco Daniele, oggi vicario episcopale e parroco della Comunità pastorale di Voghera, ebbe modo di conoscere da vicino don Giuseppe. Ne nacque un’amicizia fraterna le cui tappe don Marco ripercorre in occasione del cinquantesimo del suo confratello. Ecco il suo contributo:
1972: in quell’anno e in quell’estate di grande grazia per la diocesi, anche don Giuseppe Bruniera fu ordinato sacerdote dal vescovo Mons. Giovanni Canestri il 20 agosto.
Di questi primi 50 anni di ministero sacerdotale possiamo affermare con sicurezza che la maggior parte don Giuseppe l’ha spesa nella città di Novi Ligure, prima come vice parroco a San Nicolò e poi come parroco del Sacro Cuore.
Dal 1993 al 2002 anch’io ho vissuto i miei primi anni da viceparroco in quel di Novi (a San Pietro) e questo mi ha permesso di conoscere meglio don Giuseppe fino a creare tra noi una fraterna e sincera amicizia. Mi ha sempre colpito la sua vulcanica personalità nel vivere al meglio ogni aspetto della vita sacerdotale. Innanzitutto l’amore al Signore che lo ha portato a completare e ad abbellire la chiesa del Sacro Cuore oltre che nelle strutture anche nell’animazione delle celebrazioni in ogni loro aspetto.
E poi un’autentica e duplice scelta preferenziale: i giovani e i poveri.
I ragazzi e i giovani del suo oratorio di Novi sono ancora oggi testimoni di una vita spesa bene al loro servizio e loro stessi potrebbero scrivere ben più di un libro capace di testimoniare le mille e mille cose fatte insieme.
E i poveri! Ricordo solo due particolari. Il primo: appena dopo la tragica alluvione del 1995 di Alessandria, don Giuseppe si è subito reso disponibile con i giovani del suo oratorio ad essere fattivamente vicino agli abitanti di quella città. Non si contano le giornate in cui con squadre di ragazzi raggiungeva Alessandria per svolgere quel prezioso aiuto conosciuto e apprezzato come “gli angeli del fango”.
Per il secondo… basta il nome: Banco Alimentare!
La nostra Diocesi lo deve a lui se oggi a Novi Ligure è presente e funzionante un bel magazzino del Banco Alimentare, punto di riferimento per la Caritas, per molte parrocchie e molte associazioni del nostro territorio.
Con le sue innate capacità e il suo buon pragmatismo, don Giuseppe è sempre riuscito a superare ostacoli e difficoltà non da poco, insegnando a tutti noi quanto occorre spendersi per i bisognosi, autentico tesoro della Chiesa.
Non ricordo con precisione se sia una frase di “sua” invenzione… ma so per certo che ne ha fatto il suo motto programmatico: “Il bene (per il Signore e per il prossimo!) va fatto bene”!
Carissimo don Giuseppe, anche se ora sei chiamato a vivere una stagione molto particolare della tua vita e della tua salute, ti auguriamo di continuare a “fare il bene… e a farlo bene”!
Mons. Lino Piccinini. Il desiderio di trasmettere alla gente la vita buona del Vangelo
«Essere sacerdote è un dono»
Domenica 4 settembre la comunità di Arquata Scrivia si è stretta attorno a mons. Lino Piccinini per festeggiare i sui 50 anni di sacerdozio e i 25 di presenza in parrocchia. A rendere più solenne la ricorrenza è stata la presenza del vescovo Mons. Guido Marini che ha presieduto la S. Messa e ha ringraziato il sacerdote per il suo prezioso servizio pastorale.
Mons. Pasqualino (per tutti don Lino) ha rivolto un saluto affettuoso alle autorità presenti e ai suoi parrocchiani che in questi anni lo hanno accompagnato e sostenuto nel cammino, iniziato quando era ancora un bambino.
Nato il 1° novembre 1947 nella frazione di Carezzano superiore, sulle colline del Tortonese, in un’abitazione a pochi metri dalla chiesa, don Lino è vissuto in una famiglia solida, ricca di fede, sobria e capace di grandi sacrifici. Fin da piccolo giocava sul sagrato della parrocchia, dove aveva conosciuto don Mario Fascioli, giovane parroco che sapeva coinvolgere i ragazzi con il suo affetto e con piccoli doni. Ed è stato proprio lui, terminate le scuole elementari, a chiedergli se voleva entrare in seminario a Stazzano. Don Lino, incerto e sorpreso di fronte a questa domanda, grazie all’esempio e all’incoraggiamento di un amico che era già entrato, ha deciso di intraprendere quella strada. «La mia vocazione si è sviluppata – afferma don Piccinini – senza folgorazioni mistiche o entusiasmi particolari. Ho preso gradualmente coscienza del significato di una scelta così coinvolgente che mi impegnava a lasciare la vita di tutti i giorni. Ci sono stati momenti in cui la Provvidenza mi ha aiutato a essere sempre più consapevole del cammino che stavo compiendo».
Il sacerdote dichiara di aver attraversato la stagione del Concilio Ecumenico Vaticano II durante l’età adolescenziale e di aver vissuto i cambiamenti che si sono verificati nella Chiesa e nel seminario. Per due anni ha fatto anche esperienza della dimensione lavorativa, su suggerimento dei suoi superiori, in contatto con i problemi del mondo operaio, proprio nel pieno della rivoluzione sessantottina. Questo è stato l’ultimo passo prima di scegliere per sempre il sacerdozio che ha abbracciato con fede e con gioia. L’ordinazione don Lino la riceve il 3 settembre 1972 dal vescovo diocesano Mons. Giovanni Canestri, nella chiesa parrocchiale di Paderna, dove si era trasferito con la famiglia e quel giorno è ancora vivido nei suoi ricordi. «Pioveva a dirotto – racconta – e io rivedo ancora la gioia incontenibile sul volto di don Giulio Semino, l’anziano parroco, e la commozione sul volto dei miei genitori, che celava anche la preoccupazione per la vita futura del loro unico figlio. Spesso mia madre mi ripeteva che dovevo fare il prete seriamente perché aveva visto nella sua vita preti capaci solo di suscitare sorrisi di commiserazione tra la gente. Ricordo la festa di tutto il paese e gli abbracci degli amici di infanzia». Mons. Canestri gli affida subito incarichi importanti e venticinquenne comincia a insegnare Religione al liceo classico di Tortona e diventa assistente dell’A.C. diocesana. Quegli anni ricchi di dibattiti, di incontri e anche di scontri nel mondo giovanile e culturale tortonese sono stati per lui molto impegnativi e laceranti ma anche molto fecondi. Il periodo post Concilio era vissuto con partecipazione ed entusiasmo da parte di clero e fedeli. «Nei campi estivi che guidavo in estate a Torgnon e a Brusson – prosegue don Lino – trovavano eco e risonanza i dibattiti sull’impegno sociale e culturale della Chiesa». Fu allora che con don Pino Viano e insieme a un gruppo di liceali, fondò la prima radio diocesana nei locali del seminario che si chiamava “Radio Tortona Popolo”. Poi, su invito di Mons. Luigi Bongianino, lascia Tortona e i suoi amati studenti con i quali aveva vissuto giorni ricchi, per andare nella popolosa parrocchia di San Rocco a Voghera, accanto a mons. Manlio Achilli. «Sono stati quattro anni di vita intensa, faticosa – spiega – divisa tra scuola, oratorio e liturgia, durante i quali ho capito che il prete deve rinunciare a se stesso per servire la comunità diocesana. Per me è stato un periodo formativo utile per la mia esperienza futura». Poi arriva l’incarico di reggere le parrocchie di Carbonara Scrivia e Mombisaggio e proprio lui è il primo sacerdote diocesano ad amministrare due realtà in comuni diversi. In quel periodo collabora per 7 anni, dal 1983 al 1990, con il settimanale Il Popolo, insieme al direttore mons. Pier Giorgio Agnes e a don Tino Vercesi e prosegue anche la sua attività di insegnamento nei licei di Novi Ligure. Il 16 marzo 1997 Mons. Martino Canessa gli affida la comunità di Arquata Scrivia. «Quando sono arrivato ho trovato un grande paese operaio – aggiunge mons. Piccinini – con tante strutture parrocchiali da sostenere: chiese, cinema, oratorio, casa di riposo e una situazione impegnativa dopo che don Paolo Perotti si era ritirato perché ormai anziano e stanco. In questi 25 anni ho trovato tanti amici e collaboratori che mi hanno aiutato e ancora mi aiutano con grande affetto e buona volontà». Da qualche tempo è diventato amministratore anche delle parrocchie di Borlasca, Mereta e Prarolo frazioni di Isola del Cantone, di Varinella e Vocemola frazioni di Arquata Scrivia.
«La mia generazione – sottolinea – ha respirato l’aria buona del Concilio Ecumenico, in un clima di dialogo con l’uomo moderno, con il mondo e con la cultura. Ha imparato ad amare e a confrontarsi serenamente con gli altri ai quali trasmettere la vita buona del vangelo che è profondamente umanizzante. Il prete è nel mondo “non per essere servito, ma per servire” e donare la vita come Gesù. Per me essere sacerdote è un grande dono».
Tra i suoi ricordi più cari ci sono alcune figure sacerdotali che sono state per lui punti di riferimento fondamentali. Tra questi mons. Piero Maini, «vero educatore e guida umana e culturale», prima in seminario e poi come superiore e collaboratore in Azione Cattolica e don Giuseppe Repetto, rettore del seminario «padre affettuoso e capace di donare un aiuto e un sostegno vero e disinteressato» all’inizio del suo generoso impegno nella Chiesa tortonese.