Maria Monica Gentili racconta il padre a Bellolampo

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La prof. di Latino e Greco al Classico di Voghera in libreria con il suo primo romanzo storico

“Mio padre non morì nell’attentato di Bellolampo e per questo io nacqui. Un sottile, inesplicabile filo ci lega alla vita: è sempre l’affermazione vincente su una morte rimandata. Tutti nasciamo per morti mancate”. Inizia così Stragi, banditi e povertà la prima opera di narrativa storica di Maria Monica Gentili, vogherese, docente di Latino e greco per generazioni di studenti che hanno frequentato il liceo Classico “Severino Grattoni” a Voghera, accorpato poi al liceo “G. Galilei” come sezione classica. Dopo una vita dedicata all’insegnamento e dopo aver dato alle stampe un’antologia di autori greci e alcuni opuscoli di esercizi di ripasso e approfondimento e potenziamento della lingua latina per la casa editrice Le Monnier, Gentili si è cimentata nel romanzo, pubblicando da Artestampa Edizioni. Narra la storia di Tina e Nene, sorelle lontane ma vicine nell’anima, alla ricerca appassionata delle proprie radici, lungo una linea di memoria che riaffiora spontanea e parallela a una linea retta che si muove ripetutamente da Sud a Nord. La loro ricerca incontra la storia di un’Italia immersa in decenni difficili, che affondano nel terreno comune del secondo dopoguerra con il suo carico di problemi irrisolti, di connivenze difficili quando non contaminate e corrotte fino a esplodere nel piombo degli anni Sessanta e Settanta. Ricordi che sanno di casa e di mito convivono con i brividi suscitati dagli avvenimenti in cui il fenomeno del banditismo e delle stragi fa da preludio agli anni del terrorismo e del delitto Moro. Le due donne cercano di ricomporre la vita del loro padre, Primo, carabiniere, inviato, dopo la strage di Portella della Ginestra del 1° maggio 1947, a cacciare il leggendario bandito Giuliano, famoso per i suoi disinvolti rapporti con americani, mafia e Stato. Primo entra in contatto con i morti reali e con la strage di Bellolampo, avvenuta due anni dopo e alla quale scampa, “prova generale” di quella di Capaci. Il filo rosso del romanzo è la scuola che, di volta in volta, diventa ancora di salvataggio, faro nella tempesta, aiuto possibile al riscatto, addirittura unica arma pacifica contro ogni guerra e ogni disperazione.

La molla che ha spinto Gentili a raccontareè stata, come lei stessa ammette, «un’urgenza di scrittura che si preannuncia ad un tratto e poi si fa sempre più pressante, bussa e finché non le apri ti risuona dentro, si affaccia, chiede di uscire». «Penso che alla fine sia proprio questa la differenza che resterà tra noi umani e la chat GPT o altre di cui tanto si parla e che Italo Calvino, di cui si celebra il centenario della nascita, aveva previsto parlando, in un convegno del ’67, dell’automa letterario, poi pubblicato in Una pietra sopra con il titolo Cibernetica e fantasmi. – spiega – Perché l’input, il primo motore della scrittura, per noi umani è il cuore o la mente, un progetto, un obiettivo o il semplice, impagabile, piacere della scrittura, gioia della creazione; perché scrivere è come respirare, scrivere è vivere».

Per Maria Monica Gentili raccontare la storia vera dell’attentato di Bellolampo, al quale il padre sopravvisse e nel quale perse sette compagni, giovani carabinieri, è stato come «restituire alla generazione di suo padre parte della storia cui tutti avevano diritto, come saldare un debito con quella storia che essi avevano contribuito a migliorare con i loro sacrifici e che ha permesso a quella successiva di uscire dalla povertà in cui li aveva lasciati la seconda guerra mondiale, lacerante, combattuta qui, con il suo strascico di distruzione, di rovine materiali e morali». «Furono loro i costruttori del mondo nuovo, – aggiunge – senza neanche accorgersi di ciò cui rinunciavano, abituati com’erano a sopravvivere. Non eroi, gente comune, senza un’istruzione adeguata, sconosciuti alle istituzioni e alle autorità, ma solo persone che si tiravano su le maniche e iniziavano a pulire, come mostra la foto scelta per la copertina del libro».

Il genere romanzo storico è stato scelto dalla Gentili perché «unisce storia inventata a storia vera, così da rendere più accettabile, se possibile gradevole, la conoscenza di problemi e realtà sociali che stanno alla base del nostro presente e che possono aiutarci a leggerlo meglio, pensando a quanto si è distanti oggi da quegli anni, ma anche, per certi versi, ancora così vicini nei problemi che non siamo riusciti a superare, quali ad esempio la guerra, il nascondimento della verità, l’istruzione imperfetta». Quanti leggeranno il libro troveranno la ricostruzione di un mondo fatto di diritti negati, a partire dall’istruzione, e di conquiste sudate, proprio di una generazione, quella dell’autrice, che l’ha vissuto e che non vuole sia dimenticato.

Daniela Catalano

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