La diatriba sull’agnello

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di Silvia Malaspina e Carolina Mangiarotti

Le tradizioni culinarie legate alla Pasqua sono caratterizzate da molte succulente varianti a seconda delle zone della Penisola, ma trovano un comune denominatore nel presentare in tavola l’agnello. Questa prassi si riveste anche di un significato simbolico: l’agnello per la religione ebraica e per quella cristiana è il simbolo di sacrificio per eccellenza e, come tale, più volte compare nell’Antico Testamento: nel libro dell’Esodo, ad esempio, quando, a proposito della Pasqua ebraica, Dio disse a Mosè e Aronne: “Ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa” (Esodo, 12, 1-9).

Nella nostra famiglia siamo divisi, non equamente, tra due voraci carnivori e una semi vegetariana, ragion per cui, al momento di decidere come organizzare il pranzo di Pasqua, sono iniziate le polemiche: «Antipasto (mi raccomando l’insalata russa senza tonno!), primo, per secondo agnello al forno…» «Alt! Io non mangio agnello e non ho nessuna intenzione né di compralo, né di cucinarlo: mi fa impressione solo vederlo, povera bestiola!» «Ancora con questa storia che tu non mangi i cuccioli! A me e papà piace tantissimo! Va be’ o lo compriamo pronto o cerco qualche ricetta e provo a cucinarlo io! Secondo me tu hai qualche trauma infantile irrisolto: non mangi agnello, coniglio, vitello, selvaggina: che tristezza! Sei al corrente che esiste una cosa chiamata “catena alimentare?”»

«Se non fosse per la mia smodata passione per i salumi, potrei seguire senza problemi un regime alimentare vegetariano: la carne rossa non mi piace, mangio il pesce solo se camuffato, mi dà fastidio vedere il branzino adagiato nella pirofila, mi sembra che mi fissi! Cibarmi di carne di coniglio per me equivarrebbe a mangiare carne di cane: sono animali troppo simpatici! Ti racconto un episodio emblematico. Io e papà eravamo sposati da poche settimane: il nonno Pietro, probabilmente per impressionare la neo nuora, preparò il risotto con le quaglie, magnificandolo come piatto preferito dalla regina Elisabetta. Quando mi sono seduta a tavola e mi sono trovata davanti a un piatto di riso con adagiato sopra il povero uccellino completo di alucce e zampette, per poco svengo! Ho millantato mal di stomaco e ho mangiato solo il riso, lasciando intatto il volatile!» «Capisco che l’agnello faccia tenerezza, anche a me un po’ dispiace, però non si può eludere la tradizione! Non puoi fare un’eccezione? Solo a Pasqua! Per il resto dell’anno non lo mangiamo più!» Com’è finita la diatriba? Sono state acquistate dai carnivori impenitenti le costolette d’agnello che, opportunamente macerate in succo d’arancia e spezie, sono state da loro stessi cucinate; al momento dell’impiattamento l’obiettrice di coscienza si è alzata da tavola, ripresentandosi solo per la colomba: quella con mandorle e canditi, non certo il pennuto!

silviamalaspina@libero.it

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