Seguendo “i passi” di Sant’Agostino

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Mentre ricorrono i 1.300 anni dalla traslazione delle spoglie del vescovo di Ippona da Cagliari a Pavia, alcuni pellegrini nei giorni scorsi hanno ripercorso l’itinerario a piedi, toccando i paesi della nostra diocesi: Savignone, San Sebastiano Curone, Volpedo, Pontecurone, Casei Gerola

Quest’anno ricorrono i 1.300 anni dalla traslazione delle spoglie di Sant’Agostino dalla Sardegna a Pavia. Per celebrare l’evento un gruppo di pellegrini ha ripercorso l’itinerario a piedi, toccando anche alcuni paesi della Diocesi di Tortona. Il gruppo è partito venerdì 17 marzo da palazzo Accardo di Cagliari, dove la tradizione vuole che le spoglie del Santo siano state custodite dal 507 0 508 al 722 d.C., quindi ha raggiunto Genova. Domenica 26 marzo i camminatori sono transitati per Savignone e poi hanno fatto tappa a Mongiardino Ligure passando per Vobbia, lungo l’antica via che era seguita dai trasportatori di sale. Sabato 1° aprile hanno attraversato la Val Borbera per giungere a San Sebastiano Curone accolti dal sindaco Vincenzo Caprile e domenica 2 aprile hanno proseguito verso Volpedo dove ad accoglierli c’erano l’Amministrazione comunale e il parroco don Fulvio Sironi che li ha benedetti. Il gruppo ha lasciato tre simboli: un vessillo con le bandiere di Algeria, Tunisia, Italia ed Europa, con al centro di una facciata l’altare ipogeo di Cagliari e sull’altra l’arca di Sant’Agostino di Pavia; una copia del libro delle Confessioni e una della Regola. I simboli hanno sostato a Volpedo per due settimane a cavallo della Pasqua. Sabato 15 aprile sono ripartiti alla volta di Pontecurone e Casei Gerola dove domenica 16 aprile hanno partecipato alla Santa Messa, prima di avviarsi verso Cava Manara. Martedì 25 aprile sono infine giunti a Pavia, sul ponte Coperto, accolti dal consigliere comunale Alberto Tilocca. Hanno visitato l’Università, la chiesa del Carmine e quindi hanno terminato il loro percorso davanti all’arca di Agostino in San Pietro in Ciel d’Oro, salutati dai padri agostiniani, dall’assessore Roberta Marcone per il Comune e dalla consigliera provinciale Maria Pia Taraso. Nella basilica hanno riconsegnato al priore, padre Antonio Baldoni, i simboli ricevuti alla partenza da Cagliari.

Un tragitto problematico, tra fantasie e leggende

Il percorso che il corpo di Sant’Agostino fece, nella traslazione voluta dal Re longobardo Liutprando in un anno che può essere collocato tra il 723 e il 735, è tutt’altro che scontato e pone alcuni nodi problematici. Approdate a Genova, nei pressi di Sampierdarena, le sacre spoglie presero la via della capitale del regno longobardo, Pavia. Le fonti documentarie sono poche e parche di particolari: Beda a ridosso dell’evento e, circa 70 anni dopo, Paolo Diacono, i medioevali Filippo di Harvengte Vincenzo di Beauvais o Bellovacensis, ma soprattutto Pietro Oldrado, con tutta la problematicità di quest’ultima fonte; tuttavia alcuni dati forti della Tradizione, una volta purificata da fantasie e leggende, possono fornire una base dalla quale partire per tentare una ricostruzione dell’itinerario delle reliquie da Genova a Pavia: la presenza del Re Liutprando nel viaggio da Genova a Pavia, il prodigio del corpo appesantito e il dono di Liutprando di Savignone, la sosta casellese.

Savignone

Pur annoverando la lettera di Pietro Oldrado tra i documenti apocrifi (anche se lo stato attuale degli studi sembrerebbe rimetterne in discussione l’autenticità), occorre riconoscere che essa veicola antiche tradizioni, sulla cui autenticità non credo si possa dubitare, poiché non si comprenderebbe il motivo di un’attenzione particolare al minuscolo borgo di Savignone, al punto di costruirvi attorno una “falsa” sosta. Di conseguenza è certa l’identificazione del Passo del Pertuso come luogo in cui il corteo regale superò lo spartiacque appenninico. Si tratta di un passo in posizione dominante sulla Val Polcevera, a un’altitudine di 650 m, da cui si passa nella Valle Scrivia in territorio di Savignone.

Questa via, che scendeva in Valle Scrivia a Vallecalda (frazione di Savignone), in epoca medioevale superò per importanza la via Postumia e dal XIII secolo ai primi decenni dell’Ottocento divenne la principale via di comunicazione tra Genova e la Pianura Padana. Tuttavia nel 723 resta misterioso il motivo per cui non si fosse scelta la più importante Via Postumia (tracciata nel 148 a.C. dal console romano Postumio Albino per congiungere Genova con Aquileia). La strada, lasciata Genova, percorreva la Val Polcevera fino a Pontedecimo (Pons ad decimum lapidem) quindi valicava l’appennino al Passo della Bocchetta (posto a quota 772 m s.l.m.), per puntare poi decisamente su Tortona, attraverso Libarna. Possiamo fare alcune considerazioni.

Sappiamo che la Via Postumia perdette importanza nel VI-VII secolo, a motivo della guerra Greco-Gotica e delle scorrerie seguite all’invasione longobarda del 568, giacché Genova rimase bizantina e la pianura d’Oltregiogo fu occupata dai Longobardi.

Il Passo del Pertuso è a una quota più bassa e immette nell’alta Valle dello Scrivia, dove è possibile, a Savignone, oltrepassare il torrente ancora poco largo e scendere poi a valle mantenendosi sulla sua riva destra fino al Po.

Il Borgo di Savignone, a 32 Km da Genova, si trovava a una distanza ideale per la prima tappa del corteo che accompagnava il corpo del Santo vescovo di Ippona.

Precipiano, la tappa dimenticata

Un’altra tappa di montagna, di circa 30 km, sempre restando alla destra dello Scrivia, porta da Savignone a Stazzano, dove nel medioevo fu fiorente e potente l’abbazia di Precipiano o Percipiano, che la tradizione vuole fondata da Liutprando (fino al 1815 si poteva leggere un mosaico dedicatorio che riportava: “LIUTPRAND REX LONGORBADORUM” presente nell’abbazia). Siamo al limitare della pianura con i primi contrafforti appenninici, ai piedi del Montespineto, alla confluenza del Borbera con lo Scrivia.

Tanto a Savignone come a Precipiano sono documentati due monasteri intitolati a San Pietro, con tradizionale fondazione attribuita a Re Liutprando, entrati entrambi a partire dal X secolo in una secolare disputa giurisdizionale tra i vescovi di Lodi e di Tortona. Percorsi altri 33 km più a nord si giunge a Casei sulla sponda meridionale del Po, dove è fissata un’altra tradizionale sosta del corpo del Santo; altri 35 km di pianura e si raggiunge Pavia. Sarebbero così individuate quattro tappe omogenee nel viaggio del Santo Corpo da Genova a Pavia. Siccome Filippo di Harvengt pone la data dell’arrivo a Pavia il giorno 11 ottobre, stando a quest’autore dovremmo porre la “translatio” tra il 7 e l’11 di questo mese.

L’enigma tortonese

Secondo Filippo di Harvengt il corteo reale fece sosta nell’episcopio di Tortona, poi entrò in un villaggio che si chiamava Monte Samario ove passò la notte tra festive celebrazioni in onore del Santo; qui l’autore pone il famoso miracolo del corpo. È evidente una confusione di Filippo con quello che riportano concordi gli altri autori, cioè la villa di Savignone nell’episcopato tortonese, da lui chiamata Monte Samario. Inoltre nessuna tradizione si è sviluppata sul passaggio-sosta delle reliquie di Sant’Agostino a Tortona, se non l’indicazione nella città di una strada fuori le mura, dalla quale sarebbe transitato il corteo regale senza fermarsi, chiamata dalla tradizione popolare “strada di Sant’Agostino”.

Viene spontaneo chiedersi come mai una tanto imponente traslazione, col Re in persona a guidarla, non facesse tappa nell’unica sede vescovile lungo il tragitto, tanto più una sede antica, nobile e potente. Un’indicazione interessante ci viene dallo storico tortonese Clelio Goggi. Nel capitolo dedicato all’epoca longobarda, nella sua Storia della Diocesi di Tortona, descrive come la sede episcopale tortonese fosse una “roccaforte” della romanità all’interno del regno longobardo1, tanto più che la romanità nella prima fase del dominio longobardo coincideva con l’adesione alla fede nicena, di cui l’episcopato tortonese fu strenuo difensore fin dai tempi di Sant’Ambrogio. Goggi ne dà un’ampia descrizione, anche passando in rassegna la cronotassi dei vescovi dell’epoca, i cui nomi sono tutti latini. Ugualmente le fondazioni di chiese e monasteri tortonesi dell’epoca portano tutti titoli romani, a partire dalla cattedrale dei SS. Sisto e Lorenzo, escludendo invece il titolo dell’Arcangelo Michele, il Santo nazionale dei Longobardi, e di Sant’Agata, la prediletta della regina Teodolinda.

In questo contesto si può ipotizzare una reciproca freddezza tra Liutprando e i vertici della Chiesa tortonese, come pure un disinteresse di quest’ultima verso Agostino, la cui subordinazione alla politica ecclesiastica del Re era evidente. Il corteo di Liutprando transita per la diocesi di Tortona, ma non sosta nella sede vescovile.

La sosta a Casei

La terza tappa del corteo regale si conclude a Casei, dove sosta, in attesa di attraversare il Po il giorno successivo. Il contenuto della Tradizione casellese è tutto qui: essenziale, scevro di episodi eclatanti o miracolosi. Semplicemente corrispondente ai fatti o inventato?

La semplicità della tradizione, applicando i criteri del metodo storico-critico, ci porterebbe a un giudizio affermativo. Nella stessa direzione vanno tanto la sua antichità quanto la sua continuità. Inoltre, come a Savignone e a Precipiano, anche qui abbiamo ampi possedimenti terrieri di proprietà del monastero pavese di San Pietro in Ciel d’Oro che, a differenza dei precedenti, tali rimarranno fino alle spoliazioni napoleoniche. Su questi terreni, lungo i secoli sorgeranno pure conventi e chiese agostiniane, sempre legate alla memoria della sosta delle reliquie.

Convergono pure i dati “esterni”, cioè il fatto che Casei, la romana “Oppidum Casellarum” e la medioevale “Casellae”, si trovasse in posizione strategica a difesa dell’unico guado transitabile sul Po per raggiungere Pavia e Milano dalla strada di Genova. A monte le confluenze nel Po di Tanaro, Sesia e Scrivia rendevano impraticabile il transito, mentre poco più a valle iniziava il Siccomario, cioè l’immenso acquitrino originato dall’incontro delle acque del Ticino e del Po. Da Casei passava un’importante diramazione che si innestava poi sul tracciato delle antiche Postumia ed Emilia Scaura, chiamata dal medioevo fino ai giorni nostri via Romea: strada di commerci, battaglie e pellegrinaggi. A riprova di questo, in epoca medievale, il borgo ebbe due “Hospitales” per i pellegrini; vi era attiva una confraternita trinitaria dedita alla cura dei pellegrini anche infermi con speciale indulto del vescovo di Tortona per una questua annuale in tutti i paesi della diocesi; ospitava un’importante mansione prima templare poi giovannita.

Una singolare notizia, di non poca importanza, ci viene sempre dal Goggi: l’agro casellese era denominato nell’alto medioevo “Campus arimannorum”, il campo degli Arimanni. Sappiamo che “arimanno” era il nome dato dai Longobardi ai guerrieri acquartierati in guarnigioni stabili e direttamente dipendenti dal re. Gli arimanni avevano terre, concesse loro ereditariamente e inalienabili. Spesso intervenivano nei giudizi, come i “liberi” per eccellenza, cui era attribuita la funzione di proporre la sentenza. Se l’agro casellese assunse quel nome significa che ospitò, in epoca longobarda, una significativa presenza di arimanni, giustificata dalla strategicità del luogo. Rientrava così a pieno nella politica di Liutprando e del suo regno come terra amica e sicura.

Don Maurizio Ceriani

Note:

1. Cfr. Clelio Goggi, Per la storia della Diocesi di Tortona, vol I, Tortona, 2000, pp. 99-103

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