Misurare i decibel a tavola

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di Patrizia Ferrando

L’udito non è il primo fra i sensi a cui pensiamo, quando si tratta di mettersi a tavola. Eppure, non è poi così trascurabile: prestare orecchio a quanto risuona intorno al desco.

Partiamo proprio dalle voci: conversare a tavola regala un vero piacere quotidiano, oltre a dimostrare considerazione e cordialità verso tutti i commensali. Mangiare insieme non si ferma al consumare il cibo nella stessa stanza. Una tavola avvolta dal silenzio trasmetterebbe tensione, tristezza, chiusura. Non per questo si tollera il chiasso inopportuno o l’eccesso di modi sguaiati. Tenendo in debito conto il grado di formalità, meglio moderare il tono della voce e non abbandonarsi a eccessi di lazzi e scoppi di risa. Un bel clima di convivialità mette allegria e lascia spazio a chiunque, una gran baraonda dimostra solo scarsa educazione.

Il lato sonoro della tavola, però, comincia fin dal momento di apparecchiare. Collocare il mollettone sotto la tovaglia, oltre a proteggere il piano di legno o vetro e a rendere più “morbido” ed elegante il colpo d’occhio in termini estetici, serve anche ad attutire il rumore di posate e stoviglie, tanto che in diversi paesi assume denominazioni che sono sintetizzabili nel concetto di “telo del silenzio”.

Se andassimo in cerca di una regola generale sui decibel a tavola, ne troveremmo facilmente una tanto semplice quanto tassativa, quasi una forma di prevenzione degli inquinamenti acustici: a tavola evitate i rumori, di ogni genere. Non si possono sentire, lo sanno anche i bambini, i cosiddetti versacci, ma i suoni sgradevoli sono molti. Quelli che ancora troppe persone fanno con il brodo, le masticazioni irruente, lo scalpiccio delle posate sul piatto, i rebbi della forchetta che strisciano sul fondo raccogliendo la pasta… vogliamo continuare? Il cucchiaio che gira il caffè sbattendo sulle pareti della tazza, il brindisi con grande tintinnio di calici… la lista potrebbe essere ancora lunga.

Non in ultimo, ma per concludere, un dettaglio che riunisce gesto, suono e partecipazione a un buon clima di pranzi e cene.

Vi portano un piatto che brucia o una zuppa bollente? La parola d’ordine è pazienza.

Non si lanciano urletti, non si soffia, più o meno sonoramente, più o meno gonfiando le guance, sopra a un cibo che scotta.

Si appoggia, con calma e un minimo di grazia, la posata sul piatto e si aspetta un po’, magari dedicandosi alla conversazione. Così facendo, inoltre, farete anche la (bella) figura di non essere paragonabili a quei poco civili figuri che si lanciano sui piatti come se avessero subito fame e privazioni per un lungo periodo o, peggio, come se importasse loro solo del proprio stomaco da appagare.

patrizia.marta.ferrando@gmail.com

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