Santa Elisabetta di Schönau
Il 18 giugno la Chiesa fa memoria di Santa Elisabetta di Schönau, religiosa tedesca nata a Bonn, in Germania, nel 1129. All’età di 12 anni i genitori l’affidarono all’educazione delle monache della doppia abbazia benedettina di Schönau sul Reno. In monastero prese il velo e fece la professione religiosa nel 1147. Dieci anni più tardi fu eletta magistra, cioè superiora delle monache che non avevano la badessa, in quanto dipendenti dall’abate Egberto, fratello di Elisabetta, che ebbe molta influenza su di lei. Fu anche suo consigliere spirituale e primo biografo.
Mentre un altro fratello, Ruggero, ricopriva l’incarico di prevosto a Pöhlde, in Sassonia, e il nipote Simone, divenne, a sua volta, abate di Schönau. Reduce da una grave malattia nel 1152, Elisabetta ebbe visioni ed estasi, durante cui parlava con il Signore, la Madonna e i santi e che, a volte, duravano intere settimane, debilitandola molto. Le condizioni di salute peggiorarono all’inizio del 1164 e il 18 giugno dello stesso anno morì a soli 35 anni. Fu subito venerata dopo la sua morte e nel 1584, all’epoca di Gregorio XIII, il suo nome fu iscritto nel Martirologio Romano e il suo ufficio liturgico fu inserito nel Proprium della diocesi di Limburgo. Le sue reliquie furono profanate dagli Svedesi nel 1632, durante la Guerra dei Trent’anni, e solo la testa fu salvata e poi collocata nella chiesa parrocchiale di Schönau. Fu il fratello Egberto a raccontate le sue visioni, raccolte nei tre Libri visionum, molto diffusi nel Medioevo: il Liber viarum Dei, le Visiones de resurrectione beatae Mariae Virginis e il Liber revelationum de sacro exercitu virginum Coloniensium. Di lei restano anche 23 lettere dirette a vescovi, abati e monache e una anche a Sant’Ildegarda, nelle quali spesso condannava i vizi dell’epoca.
Daniela Catalano