Il Cammino di Santiago: tre storie di nostri pellegrini sulle orme dell’apostolo

Visualizzazioni: 671

Per molti è diventato una moda, un’alternativa alle vacanze al mare o sui monti. In realtà da secoli è uno dei percorsi di fede più significativi per i cristiani, strumento di rafforzamento spirituale che spesso si traduce in un cambiamento personale profondo

L’estate è tempo di viaggi e di vacanze e tra le innumerevoli mete, una in particolare è diventata molto gettonata. Parliamo di Santiago di Compostela, in Spagna, che si raggiunge attraverso il famoso “Cammino”. Nell’epoca della velocità e dei last minute, la destinazione si distingue da tutte le altre perché va raggiunta… a piedi.

Va subito detto che non si arriva in un posto esotico o balneare, ma in uno dei luoghi della fede cristiana più famosi al mondo. E quello che oggi molti scambiano per un modo alternativo di trascorrere le ferie, è, in realtà, un vero e proprio pellegrinaggio. Questa parola, che etimologicamente ricorda l’andare da un posto all’altro “attraverso i campi” (per agra, in latino), trova una collocazione importante nella Bibbia. La pratica del pellegrinaggio, infatti, è molto radicata nella tradizione cristiana che, dagli inizi fino a oggi, in modalità sempre nuove a seconda dei tempi, ne ha fatto uno dei mezzi efficaci, soprattutto a livello popolare, per comprendere e vivere pienamente la propria fede. Già in epoca paleocristiana quanti avevano il desiderio di convertirsi si mettevano in cammino verso Gerusalemme, con l’obiettivo di chiedere il perdono dei peccati e guadagnare il dono della vita eterna. Nell’alto medioevo iniziarono a diffondersi i pellegrinaggi penitenziali verso Roma, sulla tomba degli apostoli Pietro e Paolo e verso Santiago, nel luogo dove fu ritrovato il corpo dell’apostolo Giacomo, il maggiore, che la Chiesa ha festeggiato due giorni fa, il 25 luglio. Il sepolcro, contenente le sue spoglie, sarebbe apparso in una visione luminosa all’anacoreta Pelagio, permettendone il ritrovamento. Fu poi il vescovo Teodomiro a recarsi sul sito e a scoprire i resti del santo. Subito dopo vi giunse Alfonso il Casto, re delle Asturie, con la sua corte. Poiché nel luogo in cui Pelagio rinvenne la necropoli, palpitavano luci simili a stelle, questo fu chiamato “Campus Stellae”, “campo della stella”, da cui Compostela. Secondo la Legenda Aurea, i discepoli del santo avrebbero portato il corpo decapitato dell’apostolo, giustiziato in Palestina nell’anno 42 d.C. per ordine di Erode Agrippa I, su una barca guidata da un angelo. Fu proprio Alfonso il Casto a ordinare la costruzione della prima chiesa e, mentre la devozione al santo si diffondeva e i pellegrini diventavano sempre più numerosi in quella che era la “Peregrinatio ad limina Sancti Jacobi”, una prima comunità di monaci benedettini pose la propria dimora nel Locus Sancti Iacobi. Ben presto il culto si diffuse anche fuori dalla penisola iberica, e grandi personalità iniziarono a recarsi a Compostela che divenne capoluogo della comunità autonoma della Galizia. Da allora innumerevoli passi hanno calcato la polvere delle strade del Cammino che attraversano Spagna e Francia, con itinerari diversi per lunghezza e difficoltà. Oggi sono stati tutti dichiarati Patrimonio dell’umanità dall’Unesco.

Il più utilizzato è il cammino “Francese”, che inizia con la solenne benedizione dei pellegrini nella Collegiata di Roncisvalle. Attraversa Navarra, Rioja, Castiglia e León e Galizia. C’è chi lo percorre a piedi, chi in bicicletta, qualcuno pure a cavallo e il tempo totale è di circa un mese. Dall’ottobre 1987 il Cammino di Santiago è stato dichiarato Itinerario culturale europeo dal Consiglio d’Europa.

Per i cristiani resta sempre un’importante esperienza di fede, di crescita e di arricchimento interiore; un ottimo strumento di rafforzamento spirituale che spesso si traduce in un cambiamento personale profondo. Al termine del lungo, e anche faticoso peregrinare, ad attendere il pellegrino c’è la cattedrale di Santiago, un bellissimo santuario e anche uno dei più grandi del mondo. Sottoposto a innumerevoli interventi di ampliamento e restauro nel corso dei secoli, racconta l’infinito andirivieni di uomini e donne di ogni nazionalità ed estrazione sociale. Al suo interno sono custodite le spoglie del santo, in un grande busto dell’apostolo che è tradizione abbracciare per ringraziarlo di essere arrivati e il Botafumeiro, un enorme incensiere utilizzato nelle solennità e durante l’Anno Santo composteliano.

Chi compie il Cammino ha diritto a ottenere la Compostela, un documento religioso in latino che l’autorità ecclesiastica di Santiago rilascia a chi vive con fede il pellegrinaggio fino alla tomba di san Giacomo. Chi inizia a camminare porta con sé la Credenziale, il passaporto del pellegrino, che viene timbrato a ogni tappa e che alla fine del viaggio dà diritto alla Compostela.

Per essere valide, le credenziali per il Cammino di Santiago devono essere rilasciate dall’Ufficio del Pellegrino e devono dimostrare che il pellegrino ha percorso almeno 100 km. Il simbolo per eccellenza del Cammino è la conchiglia o concha. In epoca medievale i pellegrini che avevano portato a termine il Cammino dovevano attestarne la conclusione andando a raccogliere una conchiglia sulle spiagge di Finisterre, quello che gli antichi romani consideravano il punto più occidentale della terra, la fine del mondo. Una leggenda narra che i discepoli del santo, dopo aver perduto in un naufragio i resti del maestro, li ritrovarono su una spiaggia coperti di conchiglie.

Perché abbiamo deciso di parlare del Cammino proprio adesso?

Perché in questi giorni sono tornati a casa dal pellegrinaggio quattro nostri lettori che hanno affrontato l’esperienza con mezzi diversi e in giorni diversi, ma che hanno in comune la provenienza. Sono tutti originari del nostro Oltrepò. Paola Bottazzi, 24 anni di Argine, frazione di Bressana Bottarone è la più giovane, poi ci sono Valter Calvi vignaiolo di Castana, che quest’anno ha fatto la seconda tranche del percorso e, infine, la coppia formata da Maria Teresa Nascimbene e dal marito Franco Cuneo di Torricella Verzate, che hanno scelto la bicicletta.

Il 3 agosto, infine, partirà il “Gruppo Paola” di Tortona (nella foto sotto), formato da persone che sostengono l’AISM e vogliono portare a Santiago il loro messaggio di speranza nella lotta contro la sclerosi multipla. Il gruppo percorrerà il Cammino portoghese e tornerà il 17 agosto.

Sabato scorso, i pellegrini hanno incontrato in Episcopio il vescovo Mons. Guido Marini che li ha accolti e li ha incoraggiati a vivere con gioia la loro esperienza.

Daniela Catalano

Paola Bottazzi

«La mia vita non aveva bisogno di una freccia, ma di una meta»

Sono passati venti giorni dal mio ritorno da Santiago. La corda dominante dei miei ritorni è la nostalgia: non questa volta. Il sentimento è, piuttosto, quello di una sorprendente continuità: se mi penso come uno spazio, e immagino come suoni gli eventi che attraverso, la musica di Santiago mi abita ancora nella piena ricchezza del suo riverbero.

Perché Santiago? Per una stratificazione di ragioni: e il cammino è stato anche la storia di come, mano a mano, le ho scoperte. Innanzitutto, un sogno antico: mi è stata insegnata la bellezza del camminare, della sua frugalità (tutto quel che serve sta nei sei chili e mezzo, fin troppi, di uno zaino da trenta litri), della sua umanità (il tempo è scandito da passi e respiri, dalla geografia che cambia a un ritmo lento e insieme sconcertantemente veloce, e soprattutto dagli incontri con chi condivide la stessa strada), e ho sempre pensato a Santiago come al trionfo di questa bellezza. Colloco, a spanne, nel 2019 la segreta decisione che un giorno ci sarei andata. Il progetto di un viaggio organizzato nel 2020 naufragò; ero convinta che, non avendo mai affrontato un viaggio a piedi così lungo, mi servisse un rodaggio, e così nel 2022 colsi l’occasione di un pellegrinaggio proposto dal PIME, da Assisi a Roma. Qui imparai l’arte, e soprattutto conobbi Brando. Questa creatura curiosa e bellissima, con la condivisione delle grandi domande umane e dei piccoli problemi concreti posti dal viaggio, conquistò nel giro di qualche minuto la mia simpatia, e nel giro di qualche giorno la mia amicizia. Rimanendo in contatto, venne il giorno (era febbraio, mi trovavo in Svizzera per studiare) che Brando mi chiamò e mi chiese se avevo sempre intenzione di andare a Santiago in estate, perché la cosa gli interessava: fu questo, direi, il vero inizio del nostro viaggio. Una seconda ragione, poi, venne offerta dalla contingenza della vita: a maggio avevo concluso il mio percorso di studi in Lettere e poi in Filologia, e questa fine suonava dentro di me come un terribile rantolo. Non ho mai studiato in vista d’altro che non fosse studiare, avrei continuato con gioia quella vita che mi faceva sentire realizzata, e ora mi trovavo fuori luogo e impaurita. Così diedi un’intenzione al mio pellegrinaggio: volevo chiedere un’indicazione sulla strada da intraprendere. Dopo alcuni giorni di viaggio, guidati infallibilmente dalle frecce gialle verso la nostra destinazione, feci un nuovo passo: la mia vita non aveva bisogno di una freccia, ma di una meta; non di un’indicazione, ma di un sogno. Poi misi fra parentesi questo discorso, perché altri il viaggio proponeva alla mia attenzione (ma per riservarmi la sorpresa, infine, di riannodare ogni filo).

Santiago è un cammino fatto di cammini. Vedere crescere come una pianta la consapevolezza delle proprie ragioni per andarci è uno di questi, ma non l’unico.

Valter Calvi

«Percorri chilometri guardandoti dentro e cominci a conoscerti»

Per me arrivare a percorrere il Cammino di Santiago è stato un percorso molto lungo. Ho iniziato 50 anni fa, con le prime escursioni in compagnia di alcuni amici, zaino in spalla, mosso dalla voglia di vedere, conoscere gente e, forse, anche da quello spirito di avventura tipico dell’età. Compatibilmente con il poco tempo libero dal mio lavoro di vignaiolo, ho continuato a viaggiare per sempre. Una volta in pensione, sollevato da un po’ di responsabilità e grazie alla mia famiglia, ho fatto del Cammino un piccolo scopo di vita. A questo punto, però, è cambiato l’approccio, camminare non è solo viaggiare nello spazio, ma anche nel tempo, nelle varie culture; soprattutto è un viaggio dentro se stessi e questo lo si apprezza meglio quando si va in solitudine, come ho fatto io.

Ho cominciato con la Via degli Abati, poi con la Via Francigena da Pontremoli a Roma, fatta in tre volte e alcune altre Vie classiche in Italia. Santiago era nella mia mente da diversi anni, perché è un po’ il mito dei camminatori. Il primo motivo che mi spingeva a farlo è stato la curiosità, per capire se veramente aveva quel qualcosa in più. L’anno scorso ho deciso di fare il cammino francese, il più classico, partendo da Saint-Jean-Pied-de-Port per il passo di Roncisvalle. Da subito, forse per l’atmosfera surreale dei Pirenei, mi sono accorto di essere entrato in un mondo quasi parallelo, confermato nei giorni successivi dall’energia sprigionata dall’ambiente, ma soprattutto dalle persone mano a mano incontrate. Tutto questo si è enfatizzato ancora di più nella seconda parte del Cammino che ho percorso quest’anno arrivando a Santiago.

Nel cammino sei con te stesso, fai chilometri e chilometri guardandoti dentro e cominci a conoscerti (forse a 69 anni è un po’ tardi, ma meglio tardi che mai). Quando incontri qualcuno lo saluti con un “ciao” e gli auguri “buon cammino”, inteso come “buon cammino di vita”. Alla sera si dorme tutti assieme negli Albergue e si è tutti uguali con le stesse vesciche e gli stessi tendini che reclamano. Se capita di camminare assieme ci si apre come con un confessore; è una situazione “magica” che consiglio a tutti.

In due anni ho percorso 779 chilometri a piedi e garantisco che sono alla portata di chiunque. Non è necessario fare 28 km al giorno di media come ho fatto io quest’anno, perché avevo già prenotato il volo di rientro e non potevo rallentare. Le tappe si possono modulare e si trova facilmente da dormire, anche senza prenotare.

Si tratta di un’esperienza di una ricchezza indescrivibile che fa comprendere molto della vita, non ultimo l’inutilità di tantissime cose. Nello zaino, infatti, devi mettere solo l’indispensabile e ti accorgi che è più che sufficiente, le cose importanti stanno in un altro zaino che è la tua testa.

Non nego che in alcuni momenti la fatica, il caldo, i piedi che vogliono cambiare padrone, lo zaino che taglia la spalle, ti chiedi: «Ma chi me l’ha fatto fare?». Basta, però, che ti guardi attorno o che ti guardi dentro e tutto passa. Magari ti viene anche voglia, se ne fossi capace, di intonare “Io vagabondo” dei Nomadi.

Nessuna difficoltà che si può incontrare è insormontabile. La Provvidenza viene quasi sempre in aiuto anche a chi è un po’ imbranato come me negli spostamenti.

Maria Teresa e Franco Cuneo

«Non i tuoi piani ma la Provvidenza ti porterà alla meta finale»

Il desiderio di fare il Cammino è nato sette anni fa con una promessa fatta nella cattedrale di Santiago durante l’ultimo viaggio con nostro figlio Luigi. Per questo mio marito e io a lui e a sua sorella, che “svolazzando” ci hanno accompagnati, abbiamo dedicato le Compostele.

Mio marito in una fredda giornata invernale, mentre si parlava di vacanze estive da trascorrere in luoghi caldi, mi ha detto: «E se facessimo il Cammino?». Non ci ho pensato neanche un attimo, ho risposto di sì felicissima di poter tener fede alla nostra promessa… quando san Giacomo chiama, si va!

Da quel momento sono iniziati i mesi di organizzazione: allenamenti in bici, su e giù per le nostre amate colline dell’Oltrepò, visioni di video e letture di diari di viaggio e pianificazione delle tappe da affrontare. Pianificazione che, per altro, poi non è stata rispettata, perché il Cammino è così, si fa da sé, non si può prenotare, dove si arriva si dorme, intanto un posto la Provvidenza te lo fa trovare sempre, anche alle 9 di sera.

Così il 28 giugno siamo partiti da casa nostra, con gli zaini già preparati e le bici fiammanti nel garage del camper, mio marito poco allenato ma sicuro, e io allenatissima che continuavo a ripetere: «Non ce la possiamo fare!».

Siamo arrivati a Saint-Jean-Pied-de-Port, antico borgo sui Pirenei, punto di partenza del Cammino francese, il 30 giugno e subito ci siamo recati all’Ufficio accoglienza del pellegrino per ritirare le credenziali, poi, fieri ed emozionati, con la nostra conchiglia in mano, siamo tornati al camper per gli ultimi preparativi. Il nostro Cammino è iniziato il 1° luglio con le prime salite e la prima pioggia, una visita in chiesa, una candela e la preghiera a Santiago per avere la sua protezione e dopo via in sella alle nostre bici. Sole, vento, fatica e tanta, tanta gioia. A ogni passo, a ogni pedalata, il Cammino ti dona qualcosa di speciale: la benedizione di un anziano parroco, la fede e l’amore che leggi negli occhi dei pellegrini, i resti di un’antica cattedrale, la pace di una chiesetta di campagna…

Quando si muovono le prime pedalate ci si accorge subito che per fare il Cammino bastano poche cose nello zaino… l’essenziale: un cambio, l’acqua e un giubbino antipioggia. Le partenze al fresco del mattino, quasi sempre avvolti da una nebbiolina che rende il paesaggio ancor più suggestivo, sono scandite dai “Buen camino” che ci si scambia con gli altri pellegrini. Sono molti i momenti in cui scambiare anche solo un sorriso con un altro pellegrino rallegra la tua giornata, s’incontrano persone provenienti da ogni parte del mondo e si riesce a fraternizzare nonostante le barriere linguistiche che grazie al Cammino spariscono. Si chiacchiera sotto l’ombra di una grande quercia o in fila di fronte all’ingresso di un’antica cappella, dove un volontario o il parroco ti apporranno il “sello”, il timbro che conferma il tuo passaggio in quel luogo sacro. Alla sera si arriva stanchi ma così felici da non vedere l’ora di riprendere la bici per ripartire. Si ritrovano gli altri pellegrini in chiesa per la S. Messa e per avere l’ultimo sello della giornata, tutti con il sorriso e uno sguardo gioioso, perché è la motivazione profonda, che ci ha fatto rispondere a questa chiamata, è la fede che porta noi, come migliaia di pellegrini nel corso dei secoli, a percorrere con gioia il Cammino, nonostante le fatiche quotidiane.

E alla fine tutti i nostri sforzi sono ripagati dalla vista della maestosa cattedrale di Santiago. Quando si arriva in piazza dell’Obradoiro, e il Cammino è compiuto, ci si siede per terra e si ringrazia san Giacomo che ci ha protetti e condotti fin al suo sepolcro.

Visto che noi siamo arrivati con il tramonto la visita della cattedrale e la S. Messa le abbiamo rimandate al giorno successivo, quando riposati e felici ci siamo recati prima a ritirare la nostra agognata Compostela e poi, finalmente, alla S. Messa in cattedrale dove abbiamo avuto la fortuna di partecipare al rito sacro del Botafumeiro e ricevere la benedizione del vescovo.

In conclusione il Cammino è la perifrasi della vita, puoi prepararti e pianificare quello che vuoi ma poi sarà la Divina Provvidenza a portarti alla meta finale.

Commenti: 0

Il tuo indirizzo mail non sarà reso pubblico. I campi obbligatori sono segnati con *