Con gli occhi rivolti alla Cina per uno sguardo di pace

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Prima di lui non c’era mai stato nessun Papa: Francesco in Mongolia dal 31 agosto al 4 settembre, in un Paese segnato dall’aridità della steppa e del deserto, che ha sete della Parola di Dio

DI GIGLIOLAALFARO

«Qualcuno mi ha chiesto di questo mio andare in Mongolia, un popolo piccolo in una terra grande. La Mongolia sembra non finire mai, e il popolo è poco numeroso. Ci farà bene capire questo silenzio, così lungo, così grande. Ci farà bene capire non intellettualmente, ma con i sensi. Farà bene ascoltare un po’ la musica di Borodin, che è stato capace di esprimere la grandezza della Mongolia».

Lo aveva detto Papa Francesco durante il volo verso la Mongolia, Paese immenso dove i cattolici sono solo il 2,1%, alla partenza del suo viaggio apostolico che si è tenuto dal 31 agosto al 4 settembre. Lui, eccolo, il primo Papa a recarsi nella terra che vive ancora nel mito di Gengis Khan. Lunghi e impegnativi i trasferimenti sulla tratta di circa 8.280 km tra Roma e la capitale Ulaanbaatar: 9 ore e mezza all’andata, oltre 11 ore al ritorno.

Il programma ha previsto incontri politici, istituzionali, pastorali con la piccola comunità cattolica locale e interreligiosi. Cinque i discorsi che sono stati pronunciati dal Pontefice, tutti in italiano, nei quattro giorni di permanenza in Mongolia.

I primi due giorni sono stati dedicati all’accoglienza ufficiale, con la cerimonia di benvenuto: la visita al presidente della Mongolia, l’incontro con il Corpo diplomatico, con il Grande Hural di Stato, con il primo ministro e con i vescovi, i sacerdoti, i missionari, i consacrati, le consacrate e gli operatori pastorali. Nella giornata di domenica 3 settembre, il Papa ha presieduto l’incontro ecumenico e interreligioso, mentre nel pomeriggio ha celebrato la Santa Messa all’interno della “Steppe Arena” nella capitale. «La sete che ci abita e l’amore che ci disseta». Papa Francesco nell’omelia si è soffermato su questi due aspetti. Lo spunto lo ha tratto dal Salmo 63,2 – “O Dio, […] ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne in terra arida, assetata, senz’acqua” – e dal Vangelo nel quale Gesù «ci mostra la via per essere dissetati: è la via dell’amore, che Lui ha percorso fino in fondo, fino alla croce, e sulla quale ci chiama a seguirlo “perdendo la vita per ritrovarla” nuova». Anzitutto, l’invito del Pontefice: «Siamo chiamati a riconoscere la sete che ci abita. Il salmista grida a Dio la propria arsura perché la sua vita assomiglia a un deserto». Per il Santo Padre, «le sue parole hanno una risonanza particolare in una terra come la Mongolia: un territorio immenso, ricco di storia, una terra di cultura, ma anche segnato dall’aridità della steppa e del deserto. Tanti di voi sono abituati alla bellezza e alla fatica del camminare, azione che richiama un aspetto essenziale della spiritualità biblica, rappresentato dalla figura di Abramo e, più in generale, proprio del popolo d’Israele e di ogni discepolo del Signore: tutti, tutti noi, infatti, siamo “nomadi di Dio”, pellegrini alla ricerca della felicità, viandanti assetati d’amore». Francesco ha spiegato che «il deserto evocato dal salmista si riferisce, dunque, alla nostra vita: siamo noi quella terra arida che ha sete di un’acqua limpida, un’acqua che disseta in profondità; è il nostro cuore che desidera scoprire il segreto della vera gioia, quella che anche in mezzo alle aridità esistenziali, può accompagnarci e sostenerci. Sì, ci portiamo dentro una sete inestinguibile di felicità; siamo alla ricerca di un significato e una direzione della nostra vita, di una motivazione per le attività che portiamo avanti ogni giorno; e soprattutto siamo assetati di amore, perché è solo l’amore che ci appaga davvero, che ci fa stare bene, che ci apre alla fiducia facendoci gustare la bellezza della vita». E ha aggiunto: «La fede cristiana risponde a questa sete; la prende sul serio; non la rimuove, non cerca di placarla con palliativi o surrogati. No. Perché in questa sete c’è il nostro grande mistero: essa ci apre al Dio vivente, al Dio Amore che ci viene incontro per farci figli suoi e fratelli e sorelle tra di noi». E poi l’altro aspetto, “L’amore che ci disseta”. Questo «è il contenuto della fede cristiana: Dio, che è amore, nel suo Figlio Gesù si è fatto vicino a te, a me, a tutti noi, desidera condividere la tua vita, le tue fatiche, i tuoi sogni, la tua sete di felicità». «È vero – ha ammesso – a volte ci sentiamo come una terra deserta, arida e senz’acqua, ma è altrettanto vero che Dio si prende cura di noi e ci offre l’acqua limpida e dissetante, l’acqua viva dello Spirito che sgorgando in noi ci rinnova liberandoci dal pericolo della siccità. Quest’acqua ce la dona Gesù». Infatti, «se tante volte nella nostra vita sperimentiamo il deserto, la solitudine, la fatica, la sterilità, non dobbiamo però dimenticare le parole di Sant’Agostino: “Affinché non veniamo meno in questo deserto”, “Dio ci irrora con la rugiada della sua Parola […]. Ci fa, sì, provare la sete ma poi viene ad appagarla. […] Dio ha avuto misericordia di noi e ha aperto per noi una via nel deserto: il Signore nostro Gesù Cristo. E ci ha procurato una consolazione nel deserto: i predicatori della sua Parola. Ci ha offerto dell’acqua nel deserto, ricolmando di Spirito Santo i suoi predicatori affinché si formasse in essi una fonte di acqua che sale fino alla vita eterna”». Queste parole, secondo il Pontefice, «richiamano la vostra storia: nei deserti della vita e nella fatica di essere una comunità piccola, il Signore non vi fa mancare l’acqua della sua Parola, specialmente attraverso i predicatori e i missionari che, unti dallo Spirito Santo, ne seminano la bellezza. E la Parola sempre, sempre, ci riporta all’essenziale della fede: lasciarsi amare da Dio per fare della nostra vita un’offerta d’amore. Perché solo l’amore ci disseta veramente».

Al termine della Messa, il Papa si è rivolto al popolo cinese, approfittando della presenza del vescovo emerito di Hong Kong John Tong Hon e dell’attuale vescovo di Hong Kong Stephen Chow, cardinale designato che riceverà la porpora nel Concistoro del prossimo 30 settembre. «Vorrei approfittare della loro presenza per inviare un caloroso saluto al nobile popolo cinese. A tutto il popolo auguro il meglio, e andare avanti, progredire sempre! E ai cattolici cinesi chiedo di essere buoni cristiani e buoni cittadini. A tutti. Grazie».

Prima della cerimonia di congedo e della partenza per Roma, lunedì 4 settembre, Francesco ha incontrato gli operatori della carità e ha inaugurato la Casa della Misericordia. «È una sorta di porto dove attraccare, dove poter trovare ascolto e comprensione, – ha sottolineato il Santo Padre – un punto di riferimento per una molteplicità di interventi caritativi, mani tese verso i fratelli e le sorelle che faticano a navigare tra i problemi della vita. Questa nuova iniziativa, però, mentre si aggiunge alle numerose altre sostenute dalle varie istituzioni cattoliche, ne rappresenta una versione inedita: qui, infatti, è la Chiesa particolare a portare avanti l’opera, nella sinergia di tutte le componenti missionarie ma con una chiara identità locale, come genuina espressione della Prefettura Apostolica nel suo insieme. E mi piace molto il nome che avete voluto darle: Casa della Misericordia. In queste due parole c’è la definizione della Chiesa, chiamata a essere dimora accogliente dove tutti possono sperimentare un amore superiore, che smuove e commuove il cuore: l’amore tenero e provvidente del Padre, che ci vuole fratelli, ci vuole sorelle nella sua casa».

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