«Una finestra aperta sul mistero di Cristo»

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Sabato scorso all’abbazia di Rivalta il convegno su liturgia e arte con Mons. Viola e Mons. Marini

TORTONA – Nell’ancora tiepida mattinata ottobrina di sabato 14 ottobre, eccoci in tanti, da tutta la Diocesi, all’abbazia di Rivalta Scrivia “…un monumento d’arte che, per ogni titolo, merita di essere, con ogni cura, conservato”; “la chiesa è imponente e magnificamente bella, ove si potesse riattarla alquanto…”. Se il fraseggio desueto non tradisse una datazione non congrua con l’evento, queste espressioni sarebbero adeguate per presentare il convegno “Abbazia di Rivalta. Liturgia e Arte. Un dialogo millenario”.

I due testi sono di don Andrea Dapino, parroco ottocentesco di Rivalta. La sensibilità e la punta di amoroso orgoglio con cui lo zelante sacerdote ha descritto, circa 130 anni fa, le caratteristiche della sua chiesa, il riferimento al monumento d’arte meritevole di essere conservato e quell’inciso sul riattare – adattare (in senso etimologico) – la chiesa, gli valgono l’onore di questa citazione, perché è proprio attorno a tali elementi essenziali che si è sviluppato, nel 2023, l’iter di adeguamento liturgico dell’abbazia. Ed è stato su questi temi che il convegno di sabato ha concentrato la propria attenzione.

Dopo il commosso benvenuto del parroco, don Giuseppe Massone, e il saluto del sindaco Federico Chiodi, i quattro prestigiosi relatori, sapientemente coordinati da don Claudio Baldi, direttore dell’Ufficio Liturgico Diocesano, hanno sviluppato gli aspetti di loro competenza. Al ricercatore e storico locale Fausto Miotti, esponente della Società Storica “Pro Iulia Dertona”, è spettato il compito di ricostruire, attraverso la documentazione d’archivio, le trasformazioni subite dal presbiterio nel corso degli oltre 8 secoli di vita dell’abbazia. L’interesse si è concentrato sugli interventi più recenti, quando l’altare maggiore tridentino, il coro ligneo e la balaustra in gesso, ancora visibili nelle foto d’epoca, sono stati rimossi, con le debite autorizzazioni, per adeguare il presbiterio ai dettami della riforma liturgica. La soluzione provvisoria, con un tavolo di legno per altare, realizzata nel 1968 da don Modesto Radoani, altro indimenticabile parroco di Rivalta, richiedeva di essere seriamente presa in considerazione, alla luce del carattere di “monumento vivo” dell’abbazia.

Lo ha ben spiegato Francesca Lupo, funzionario della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Alessandria, Asti e Cuneo, che ha autorizzato e seguito i lavori. Si trattava di accettare un’ardua “sfida”: contemperare conservazione e trasformazione. Come poteva entrare il nuovo, anzi il contemporaneo, in uno dei simboli dell’architettura romanica in Piemonte, senza stonare e rimanendo riconoscibile? Il dialogo tra le diverse competenze ha reso possibile quel che pareva impossibile: la nuova forma di presbiterio è entrata in abbazia “a capo chino e a bassa voce”, perché – ha spiegato la Lupo – «nella sua sintesi di geometrie, materiali, cromie il progetto aveva risposto a tutte le istanze in gioco, fornendo riscontro a ogni condizione posta e trasformando le prescrizioni di tutela in progetto». L’iter progettuale e poi esecutivo, condiviso dapprima tra committenza, artista, autorità di tutela, poi con i finanziatori (Gruppo Gavio e fondazioni bancarie locali), gli uffici comunali, la comunità ecclesiale, fino ai tecnici sul campo (l’architetto Antonella Davio) e alle maestranze locali (Edil Straffi snc), non solo ha consentito il felice esito della sfida iniziale, ma ha determinato un “lascito”, in termini di modus operandi per analoghe, complesse situazioni.

Dopo il gradevole coffee break, alla ripresa del convegno, era atteso l’intervento di Mons. Vittorio Viola, arcivescovo – vescovo emerito di Tortona, nel suo servizio odierno di Segretario del Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Le attese non sono state deluse: Mons. Viola, con il suo stile vivace e appassionato, con la profondità di pensiero che gli è riconosciuta, attraverso la preghiera di dedicazione, ha guidato l’attento uditorio alla comprensione del senso simbolico dell’altare. Troppi gli spunti di conoscenza e riflessione per poter qui anche solo accennarli; uno per tutti: quell’unico fatto veramente nuovo, impensabile, paradossale della storia, che è l’Incarnazione, è diventato il metodo scelto da Dio per continuare a garantire anche a noi la possibilità di incontrarlo concretamente. Come? Nei suoi Sacramenti, fatti di “cose” materiali – luce, acqua, olio, pane, vino, colori, gesti, parole – attraverso le quali si manifesta la Sua Presenza, con la medesima “forza che usciva da Lui e guariva tutti”.

Lo spazio liturgico è “impregnato” di questa Presenza. Lo ha sperimentato Raul Gabriel e, con il suo linguaggio immaginifico, ha dichiarato di essersi innamorato a prima vista dell’abbazia: «Un posto incredibile, che dava conto di tutta l’eterogeneità del Creato, restituendo un’armonia assoluta, potente». L’artista italo-argentino, novello monaco architetto, si è posto «al servizio di questa visione millenaria », che, «per essere capita – ha detto – non ha bisogno di didascalie ».

A Mons. Guido Marini era riservato il compito di chiudere il convegno e offrire qualche spunto conclusivo. Lo ha fatto con la consueta semplicità, espressività ed efficacia, non prima di aver ringraziato tutti i protagonisti dell’operazione. Poi ha richiamato quanto scriveva Mons. Mariano Magrassi, abate benedettino, originario di Tortona, arcivescovo di Bari, a proposito della liturgia: “Non è un insieme di cose da fare, ma è Qualcuno da incontrare”, mentre San Tommaso affermava: “Il sacro è lo stesso Cristo”. Prima della preghiera e benedizione finale, impartita da Mons. Viola, il nostro vescovo ha descritto icasticamente quanto realizzato a Rivalta: «È una finestra aperta che ci aiuta ad affacciarci sul mistero di Cristo».

Luisa Iotti (Foto: Luigi Bloise)

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