I politici leggano Angelini

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di MARIA PIA E GIANNI MUSSINI

Abbiamo già ricordato l’orrore della guerra in Terra Santa, ma anche gli spiragli di speranza che è possibile scrutare e coltivare. Ce lo conferma uno degli amici spesso chiamati in causa in questa rubrica, il prete letterato Cesare Angelini (1886-1976), storica firma del Corriere della Sera e per oltre vent’anni rettore del Collegio Borromeo di Pavia, dove Gianni ha studiato. Si tratta dello scritto Mi ricordo di Alì, compreso nel volume Questa mia Bassa, pubblicato All’Insegna del Pesce d’Oro nel 1971; il brano risaliva però al 1928. Bisogna sapere che Angelini fu cappellano degli Alpini durante la Grande Guerra, finita la quale, nel ’19 prestò servizio in Albania. Proprio là, ad Antivari, ebbe la ventura di conoscere il Gran Muftì della regione. L’incontro è descritto con movenze lente e sinuose, ma esattissime. Avvenne in un giorno di bazar “nell’orto cinto di melograni, fra la sua casa timorata e la Moschea, su, in Antivari vecchia, appena lavata e dilatata da un magnifico temporale”. Come si vede, si respira aria di pace e di eterno. Sentimento che si fa subito ancor più vivo: “Un servitorello color topo me lo indicò seduto al pedale d’un ulivo, neniando versetti del Corano”. Alla vista dell’ospite, Alì gli va incontro interrompendo la cantilena (ma tenendo un dito “per segno” tra le pagine del libro santo) e si porta ripetutamente la mano destra alla bocca: “antichissimo gesto dal quale derivò alle religioni la parola adorare” (dal latino ad orem, “alla bocca”). In una descrizione che pare al rallentatore, e invece asseconda i ritmi eterni su cui l’interlocutore scandisce la vita, Angelini ci racconta che Alì “metteva in ogni movimento una grazia liturgica, quasi un potere incantatorio” e ci mostra persino il “turbante verde- lionato che attestava il pellegrino della Mecca”. Entrato nella sua casa “di scarso mobilio”, Alì apre un cassetto per ritirarvi religiosamente il libro di preghiera, ma subito cava fuori da un altro cassetto “una tasca di cuoio verde con tabacco biondissimo”, per arrotolarne una sigaretta per sé e una per l’ospite. Segue il rito del caffè, portato da “una schiavolina… in chicchere di porcellana istoriate alla turca”. E nel versarlo, commenta Angelini, pare recitare una Sura del Corano. Ma dal minareto il muezzin invita alla preghiera. Ecco che rapido e queto (non c’è fretta nell’economia del Cielo) Alì si prostra a terra rivolto a Oriente, e quando si riscuote pare “tornato da un colloquio col mistero”. Alla fine c’è lo scambio di libri santi, anticipo di quel sano ecumenismo che sarebbe stato del Concilio e di Papa Giovanni. Nessuna confusione, ma rispetto profondo per l’altro e la sua fede. Ecco la soluzione di conflitti e incomprensioni che non ci lasciano in pace. E non è detto che la politica non debba imparare da questi esempi.

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