La notte santa

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di MARIA PIA E GIANNI MUSSINI

Quando Maria Pia era bambina e faceva le scuole elementari, specie nei paesi (allora abitava a Pian del Voglio, dove il papà lavorava alla costruzione del viadotto autostradale) non si organizzavano recite natalizie propriamente dette: niente scenografie e costumi, esclusa la presenza dei genitori e dei nonni, nessuna merenda con i compagni a base di panettone. Il 25 dicembre era una festa religiosa e familiare, e i bambini a scuola si limitavano a fare disegni o scrivere pensierini edificanti (unica eccezione consentita, la lettera a Gesù Bambino, su carta speciale con decorazioni e lustrini). Ma per il Natale della seconda elementare la maestra di Maria Pia aveva fatto studiare a memoria la Notte santa di Guido Gozzano. In molti se la ricorderanno: è una rivisitazione dell’arrivo a Betlemme di Giuseppe e Maria che cercano un posto per la notte. Il racconto si svolge sotto forma di dialogo tra i due personaggi sacri e i vari osti che, per un motivo o per l’altro, negano loro l’ospitalità proprio nell’imminenza del parto della Vergine, fino a che i due trovano rifugio nella stalla e calore nel fiato del bue e dell’asinello. Dunque, la poesia può essere davvero il copione di una mini-recita: e così l’aveva fatta interpretare la maestra ai bambini, che a turno impersonavano Maria e Giuseppe, e quegli osti così insensibili anche perché ignari di quello che stava per succedere. Di sottofondo, l’anacronistico – ma fortemente suggestivo – rintocco delle campane che via via ricordano l’avvicinarsi dell’ora della nascita, sino a quando “il campanile scocca / la Mezzanotte Santa”. Ecco allora l’alleluia esultante per il “Sovrano Bambino”. Sarà per via dei ricordi che Maria Pia ama ancora moltissimo questi versi? A Gianni poi, che è un fan di Guido Gozzano, non servono neanche i ricordi per apprezzare la poesia. Solo più tardi, quando abbiamo imparato ad analizzare i testi secondo criteri estetici e metrici, ne abbiamo capito tutta la finezza anche formale in un contesto solo apparentemente semplice, quasi infantile. I doppi settenari delle strofe ci raccontano l’affanno dei due pellegrini stanchi e provati dalla vana ricerca, come pure l’imbarazzo degli osti che negano l’alloggio; le rime, apparentemente facili, ci introducono nell’ambiente umile e familiare in cui il Bambinello sarà accolto. È però la nascita che suscita, anche nella poesia, un’impennata di gioia (il ritmo dei novenari si fa per questo incalzante) a cui tutti possono prendere parte. Lo stesso poeta ne sentì alla fine il richiamo: pur avendo a lungo mantenuto un atteggiamento di sostanziale distanza dalla fede, Gozzano nutriva infatti quella che viene definita “nostalgia del divino”, che lo portò in punto di morte a chiedere di riconciliarsi con Dio e con la Chiesa attraverso i sacramenti. Le campane della notte santa avevano suonato anche per lui.

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