Prendersi cura dei pazienti poveri
di Pierangela Fiorani
Un fastidioso problema a un piede. Potrebbe essere un fungo, suggerisce l’amico dermatologo, ma è meglio farsi vedere da un allergologo. Ci pensa il medico di famiglia a fare la richiesta per una visita con il servizio sanitario nazionale. Subito? No. Prima bisogna chiamarlo e prendere la linea sempre infuocata nella finestra tra le 8 e le 10 del mattino sul telefono fisso che è l’unico contatto possibile. Perché – lascito a lungo termine del Covid – non è concesso presentarsi in ambulatorio senza prenotarsi. Quando il numero è finalmente libero ecco la voce del medico: «Oggi è lunedì…, venga venerdì pomeriggio in ambulatorio». «Speravo di fare prima, dottore… Comunque, verrò quando dice lei». Per telefonare al Centro prenotazione dell’ospedale si aspetterà il lunedì seguente. Non è come il Cup (Centro di prenotazione unica regionale) dove l’attesa tra avvertenze, musichette e numeri da schiacciare sulla tastiera per arrivare a parlare con un operatore è snervante e richiede spesso l’aiuto di qualcuno. La sorpresa non manca anche qui. «Una visita allergologica? Vediamo… Si va a ottobre prossimo». «Ma siamo a gennaio…». «E per una visita privata?» è la timida domanda successiva. «Per quella anche settimana prossima», la risposta pronta al di là del filo. «Costa 97 euro, sempre che non voglia scegliere il medico. Nel caso costerebbe di più». Risposta del paziente (e mai definizione fu così azzeccata): «Non conosco i vostri medici. Va bene così. Accetto». Visita fissata dopo sette giorni. È solo l’inizio di una trafila che comunque sarà assai lunga nel suo sviluppo, con nuove prenotazioni e nuove attese. Cari lettori, sarete già sfiniti, ma mi sembra interessante riportare qui fedelmente un caso di ricerca per una visita specialistica così come mi è stato raccontato perché il tema c’è, è sempre vivo e non si capisce come uscirne. Covid o non Covid le liste di attesa sono lunghe, troppo lunghe per tante patologie anche importanti che richiedono indagini rapide e interventi. Una settimana fa il direttore di questo giornale, Matteo Colombo, ne ha parlato nel suo editoriale riferendo della lectio magistralis che Mariella Enoc, già presidente dell’ospedale “Bambino Gesù” di Roma, ha tenuto all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Vercelli, dove è stata insignita della laurea honoris causa in Medicina. Enoc ha parlato di “povertà di salute”, della difficoltà che gli anziani – una fascia di popolazione in aumento – hanno per avere attenzione e cure adeguate, di chi non ha nemmeno i soldi per pagare un ticket, figuriamoci una visita o più visite private. E non ha taciuto sulle lunghe attese per visite ed esami specialistici. Si discute in questi giorni sulla scelta del Governo rispetto alla Autonomia differenziata per le Regioni su cui anche il segretario di Stato del Vaticano, il cardinale Pietro Parolin, interpellato dalla stampa, ha espresso più di un dubbio. «È un modo perché l’Italia possa diventare più solidale? Perché ci si possa aiutare reciprocamente, sapendo del grande divario che c’è tra una parte e l’altra dell’Italia?» – si è chiesto e ha chiesto. Il dubbio esiste ed è forte. Si paventa che per prima cosa possano peggiorare le prestazioni sanitarie, la cura. Che cresca il divario tra Nord e Sud. Ma anche tra grandi centri urbani, dove l’offerta sanitaria è più ricca, e le cosiddette aree interne. Lo sappiamo bene quel che succede anche nei nostri territori dove già diversi ospedali sono stati riconvertiti quando non chiusi e dunque non più disponibili e attrezzati per rispondere a esigenze non solo di urgenza (con i Pronto Soccorso smantellati) ma con reparti interi sospesi “provvisoriamente” e mai più riaperti. Abbiamo l’esempio dell’ospedale di Stradella che ancora aspetta di rivedere il punto nascite che pure è stato un fiore all’occhiello in anni passati. Migliaia di persone dei territori intorno hanno firmato un appello proprio per questo. L’importanza di una vitalità da garantire per il sistema pubblico, la necessità di non vederlo prevaricato dal privato che inevitabilmente sarà per pochi e non per tutti, la salvaguardia dei più piccoli presidi sono elementi sottolineati dalla presidente Enoc. L’appello da far risuonare il più possibile è che chi si trova a operare nella sanità viva l’atto della cura come un “prendersi cura”. Dipende da ciascuno certo, ma anche da come ogni operatore viene messo in grado di lavorare con serenità e impegno. Sappiamo del fuggi fuggi di medici e infermieri dal pubblico al privato, quando non prendono addirittura la strada per l’estero. Ancora una volta l’appello è per la politica il cui compito è quello di programmare per il meglio nel tempo e nello spazio, di impegnarsi per un futuro che va ben oltre il breve, effimero termine di una legislatura. In questo caso significa lavorare per la salute e la cura di una popolazione che invecchia sempre più, che richiede attenzione, vicinanza, azzeramento della burocrazia. Che domanda di poter vivere in serenità gli anni preziosi della vecchiaia.
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