Una cattolica a Belfast
di Ennio Chiodi
Succede – di questi tempi– che in una tormentata parte d’Europa si scriva la parola fine a una lunga e sanguinosa vicenda di scontri politici, sociali e religiosi, invertendo il corso della Storia proprio quando altre guerre si alimentano inesorabilmente. Succede a Belfast, capitale dell’Irlanda del Nord, dove, in questi giorni, ha assunto la guida del Governo una quarantenne cattolica, repubblicana, attivista del “Sinn Fein” (che in gaelico irlandese significa “Noi stessi”), il Partito che storicamente si batte per la riunificazione tra l’Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda, quella di Dublino. La prima, la cui popolazione è sostanzialmente divisa tra cattolici e protestanti, fa parte del Regno Unito, come la Scozia e il Galles, oltre all’Inghilterra; la seconda, una Repubblica indipendente dal 1922, è abitata in grande maggioranza da cattolici. Michelle è figlia di Brendan Doris, militante attivo dell’IRA, l’Esercito Repubblicano Irlandese, protagonista armato del lungo conflitto nord irlandese tra Unionisti, fedeli alla monarchia britannica, da una parte e Repubblicani indipendentisti, decisi a battersi con ogni mezzo per la riunificazione con Dublino, dall’altra. Quei “Troubles” – quei disordini, per usare un eufemismo – sono stati in realtà anche un sanguinoso conflitto sociale e religioso tra protestanti e cattolici: hanno lasciato sul terreno oltre 3.000 morti, tra la fine degli anni ’60 e il 10 aprile del 1998, giorno dello storico accordo del “Venerdì Santo”, con il quale si definirono i criteri di condivisione del potere a Belfast. Oggi non possiamo non pensare come avrebbe vissuto gli ultimi sviluppi Bobby Sands, il militante cattolico dell’IRA che si lasciò morire in carcere dopo 66 giorni di sciopero della fame per protestare contro condanne spesso ingiustificate e un regime di detenzione ai limiti del disumano. La fine “non violenta” della battaglia di Bobby e dei suoi compagni ci fa immaginare che avrebbe apprezzato l’impegno di Michelle O’Neil a “costruire insieme un futuro migliore, visto che il passato non può essere cambiato”. Una prospettiva di speranza anche per i cattolici della mia generazione. Seguivamo con apprensione quelle vicende, tormentati da stati d’animo e tensioni contrastanti: la simpatia per quei militanti e l’appoggio ai loro obbiettivi politici era inevitabilmente messa in discussione dal costante richiamo al “tu non uccidere”, dalla condanna per ogni azione militare, violenta e sanguinosa, spesso di matrice terroristica, inevitabile per alcuni, ingiustificabile, sempre e comunque, per altri.
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