Disegni nella borsa

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di Davide Bianchi

Quando torno a casa dal lavoro e apro la borsa spesso ci trovo una decina di disegni, biglietti, ritagli, letterine di tutte le forme e colori. In prima elementare accade di frequente. Ve ne racconto solo alcuni. E. (romena, tranquilla, minuta, è la più piccola) ha in questa fase della sua vita una sfrenata passione per i conigli e me ne disegna e ritaglia una quantità impressionante. Non importa di che colore siano, quali forme abbiano, ciò che più conta è che siano conigli. Dall’altra parte dell’aula c’è S. (timido, determinato, testardo, sfegatato sostenitore del Napoli), di recente ha imparato a usare righello e forbici. Si cimenta in disegni di poligoni di ogni genere, li rifila e a fine giornata la mia borsa trabocca di ritagli di figure geometriche. Poi c’è A. (albanese, taciturna, introversa, raramente ti guarda negli occhi). Con lei ho intrecciato un singolare rapporto epistolare e quasi tutte le mattine riproduce, piegando e incollando un foglio, una specie di busta da lettere, con tanto di linea tratteggiata, che io quotidianamente devo aprire davanti a lei. All’interno ci infila sempre il suo disegno di una bambola e tutta una serie di oggetti appartenenti al suo corredo: borse, trucchi, vestiti, ecc. Infischiandosene totalmente del fatto che io sia un maschio e che in teoria le bambole non siano propriamente al centro dei miei interessi, quello è il suo speciale omaggio per me, il suo modo di esprimere la sua irriducibile singolarità, la sua originale presenza nel mondo. Con gli anni ho imparato ad apprezzare questi gesti da parte dei bambini. Mi stupiscono sempre perché ogni opera o manufatto da loro creato sembra articolato secondo una propria sintassi, un proprio linguaggio che è trasfigurazione originalissima di esperienze, vissuti, sogni e desideri. È impossibile non interrogarsi sul significato profondo che si cela dietro l’atto del donare, sulla sua incondizionata gratuità e libertà, sul senso della sua radicale trascendenza, della tensione ontologica verso l’altro. C’è probabilmente un non so che di solenne nel gesto con cui un bambino ti porge il suo lavoro. Non è solo un atto dettato dal loro intrinseco bisogno di essere riconosciuti e gratificati, credo che vi sia un ulteriore evento che fonda e precede ciò. Forse il fatto di aver scelto te e non un altro come loro privato interlocutore, di averti riconosciuto come soggetto di un colloquio in cui questa volta sono loro, e non tu, a insegnarti la lingua.

biadav@libero.it

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