1C in attesa dell’Oceania

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di Davide Bianchi

La classe nella quale lavoro ha una superficie di circa 50 metri quadrati. La porta che dà sul corridoio è spesso aperta. Le pareti sono gialle, il pavimento è grigio. A destra vi è un’enorme vetrata attraverso la quale si possono ammirare le verdi colline dell’Oltrepò. È quindi uno spazio piuttosto luminoso. Lungo la parete principale ho fissato, oltre al monitor touch screen già in dotazione, due lavagne d’ardesia e una piccola whiteboard magnetica. La mia collega e io scriviamo parecchio durante le lezioni e a volte certi vocaboli chiave devono restare ben visibili per alcuni giorni. In fondo sono situati due armadi nei quali è riposto il materiale e una libreria ad alveare per i quaderni dei bambini. C’è ovviamente la cattedra: apparentemente epicentro e punto archimedeo su cui fa leva tutto ciò che accade in quel microcosmo geopolitico. Davanti alla nostra postazione è schierata una ventina di banchi con le relative sedie. Ci sono poi, in senso antiorario: un alfabetiere da muro, alcuni poster didattici, tre cartine geografiche, due attaccapanni, una stampante, una mensola e venti bambini, in rappresentanza di quattro diversi continenti. Europa, Africa, Asia e America Latina. Manca l’Oceania. Peccato. Anche solo per senso di completezza sarebbe stato fantastico avere almeno un portavoce di quella parte del mondo. In un’aula rettangolare converge quindi una moltitudine di coordinate geografiche quasi a delineare una struttura a raggiera. Un intreccio inestricabile di visi, lingue, culture, cibi e religioni diverse. Ora, vi sarebbero molte considerazioni da fare di natura sia politica sia pedagogica. Ma mi soffermerò su due aspetti. Il primo è che Luisa e io abbiamo un po’ di lavoro da compiere. Soprattutto Luisa, che insegna italiano. Il sottoscritto, che fa matematica, perlopiù in lingua inglese, ha gioco facile, almeno per quest’anno. Il secondo è che la deriva dei continenti da me sopra descritta qui in realtà non è mai avvenuta. È stupefacente assistere alla facilità disarmante con la quale questi bambini interagiscono tra loro. Si scambiano vocaboli, merende, oggetti, gesti, giochi e significati con una naturalezza e una spontaneità che non sono di questo mondo, o almeno del mondo descritto da tv e giornali. Le differenze non sembrano essere percepite, e se lo sono, passano in secondo piano. Ciò che conta è il puro scambio, l’interazione attraverso il gioco o qualsiasi altra attività. In attesa dell’Oceania, la 1C resta una Pangea.

biadav@libero.it

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