«L’amore del Signore risorto strappa la nostra vita alla morte»
L’intervista. In occasione della Pasqua, i due direttori dei media diocesani, hanno rivolto alcune domande al vescovo ai microfoni di Radio PNR. Ecco le sue risposte
DI MATTEO COLOMBO E DON PAOLO PADRINI
Siamo nel vivo della Settimana Santa che è iniziata con la Domenica delle Palme: il Vangelo ci ha raccontato di un Gesù acclamato dalla folla e poi messo davanti alla sua condanna e alla sua morte. Sembra un contrasto… che forse può albergare anche nel cuore dell’uomo. Partiamo da qui. «La Settimana Santa, nel suo significato più profondo, si potrebbe sintetizzare così: è il vortice del mistero dell’amore di Dio per noi, nel quale siamo introdotti. Dove la parola “mistero”, che spesso indica qualcosa di oscuro, in relazione alla fede indica invece qualcosa di straordinariamente luminoso, tanto da diventare accecante e per cui ci resta difficile fissare lo sguardo. È bello pensare che la Settimana Santa ci fa entrare in questo vortice di uno splendore luminosissimo qual è l’amore di Dio per noi. Viene però da chiedersi: com’è possibile che, a fronte di questo amore così splendido, luminoso, infinito, poi ci confrontiamo con due realtà tra di loro contradditorie? Gesù, in effetti, nella Domenica delle Palme viene prima accolto trionfalmente in Gerusalemme e dopo vive la sua Passione, viene cioè rifiutato. Mi pare che questa sia la realtà del cuore dell’uomo nel quale l’accoglienza e il rifiuto del Signore, molte volte, coabitano.
Mi viene in mente quello che scrive San Paolo quando afferma di sé: “Molte volte faccio quello che non voglio e non faccio quello che voglio”. Il cuore dell’uomo, in fondo, è questo mistero, difficile da decifrare, per cui noi desideriamo l’amore del Signore ma nello stesso tempo ci troviamo a rifiutarlo. Forse, per capire meglio e capire di più possiamo far riferimento a ciò che noi desideriamo profondamente. Penso all’amore: il cuore dell’uomo è fatto per l’amore ma quante volte vive nell’egoismo; penso alla verità: il cuore dell’uomo è fatto per la verità, ma quante volte, poi, vive nella menzogna; il cuore dell’uomo è fatto per la giustizia e tante volte, vive nell’ingiustizia; il cuore dell’uomo è fatto per la pace, e tante volte vive nella guerra; il cuore dell’uomo è fatto per la gioia, e tante volte si dà da solo ragione di infelicità; il cuore dell’uomo è fatto per ciò che è bello e in ogni modo deturpa la bellezza; il cuore dell’uomo è fatto per la vita e spesso vive per la morte e si dà la morte. Ecco il dramma che la Domenica delle Palme e l’inizio della Settimana Santa ci rivelano, mettendoci davanti a una sorta di sfida: essere, finalmente, cercatori della vita e quindi del Signore, superando, con la sua grazia, quel rifiuto che si annida nel nostro cuore e che è la nostra rovina, perché nell’accoglienza del Signore è la nostra vera vita, nel rifiuto di Lui è sempre la nostra rovina».
Oggi inizia il Triduo Pasquale, momento in cui la liturgia è ricca di simboli e di segni. Che cosa hanno da dirci, in concreto, questi tre giorni? Iniziamo dal Giovedì Santo. Quel gesto del Signore che lava i piedi ai “suoi” non può lasciare indifferenti…
Domani, Venerdì Santo, adoreremo la croce. Mentre il mondo non accetta più il dolore e la sofferenza, lì, sulla croce, il Signore allarga le braccia come per stringerci a Lui…
«Il gesto della lavanda dei piedi davvero non ci lascia indifferenti. In questo gesto siamo chiamati a cogliere una realtà che è molto profonda e che comprendiamo nella misura in cui non dimentichiamo quanto dice l’evangelista Giovanni introducendolo, ovvero che “Gesù amò i suoi e li amò fino alla fine”. Ciò non significa che il suo amore arrivi semplicemente fino all’ultimo momento della sua vita terrena: “sino alla fine” indica l’intensità, cioè fino alle estreme conseguenze, fino al dono totale di sé, fino a versare il proprio sangue nell’amore. Ecco, allora, che il gesto della lavanda dei piedi racconta la realtà di un Dio che desidera amare i suoi, cioè amare noi, “sino alla fine”, fino a donare la propria vita per la nostra salvezza. Penso che fermarsi su questo gesto, riviverlo, guardarlo, osservarlo, contemplarlo sia proprio entrare nella bellezza del cuore e del volto di un Signore che per noi ha voluto dare la vita e continua a dare la vita per la nostra salvezza. D’altra parte, se questo gesto ci introduce in un modo semplice e profondissimo nella grandezza e nello splendore del cuore del Signore, ci introduce anche nel senso profondo della nostra esistenza, perché osservando, guardando, contemplando quel gesto, in realtà, siamo come davanti allo specchio, dove decifriamo qual è il segreto della nostra vera felicità. Soltanto nella misura in cui anche noi viviamo quel gesto concretamente, amiamo fino alla fine il Signore e i fratelli e la nostra vita trova compiutamente se stessa. Fa eco a quel passaggio un’altra parola di Gesù, quando Egli afferma che “soltanto chi perde la propria vita la trova veramente” perché chi la tiene per sé la perde. Allora, in quel gesto così bello e significativo scopriamo la bellezza del cuore del Signore che ci ama “sino alla fine” – potremmo dire “alla follia” – ma anche il segreto della nostra vita, in quanto nel lavare i piedi, nel donarci incondizionatamente, troviamo pienamente noi stessi».
«La questione “dolore e sofferenza”, che è di grande importanza per la vita umana perché mette in gioco il suo senso profondo, proprio sotto la croce, in adorazione di un Dio che si fa sofferente per noi a motivo del suo amore, riceve una chiave di lettura e di comprensione nuova. Certo, il dolore e la sofferenza non vengono annullati ma vengono come recuperati in un contesto di amore che davvero dà loro un significato completamente diverso ed è un contesto d’amore che va a beneficio di chi il dolore e la sofferenza li vive in prima persona. In modo misterioso ma altrettanto reale, va anche a beneficio di tutti perché sappiamo che nel disegno di Dio l’amore e la sofferenza, che fanno parte della vita dell’uomo, sono riscattati proprio a motivo dell’amore con il quale possono essere vissuti e sperimentati. Adorare e contemplare il crocifisso significa anche essere illuminati da una luce nuova per vivere quotidianamente questa esperienza di sofferenza e dolore. Davanti al crocifisso vi è una duplice dimensione che appare a noi in modo molto evidente. Una dimensione orizzontale, perché Gesù allarga le braccia e si protende verso di noi, e una dimensione verticale, perché gli occhi e lo sguardo di Gesù, a un certo punto, seguendo quasi la linea verticale della croce, salgono verso l’alto e verso il cielo. Quando stiamo in adorazione al cospetto del crocifisso, siamo davanti a una direzione che è duplice: verso l’alto e verso l’altro. Verso il Padre, a cui Gesù si offre totalmente per amore, e verso di noi che siamo abbracciati da Gesù con la potenza del suo amore umano e insieme divino. Mi pare che la croce, nel momento in cui parla di ciò che Gesù sta vivendo, parli anche di noi. Nella croce, nella sua dimensione orizzontale e verticale, troviamo svelato il mistero dell’uomo, il mistero di che cosa sia e possa essere l’uomo quando la croce diventa sua, cioè quando lo indirizza verso l’alto e verso l’altro. Questa è la vita buona, la vita riuscita, la vita salvata, la vita compiuta: una vita che è rivolta verso l’alto e allo stesso tempo verso l’altro».
Il Sabato Santo è caratterizzato dal grande silenzio del sepolcro. Tutto sembra perso… invece?
«Tante volte ho riflettuto su questo silenzio che avvolge il Sabato Santo: lo avvolge nella nostra esperienza personale perché anche la liturgia della Chiesa è silente; lo avvolge perché il Dio fatto uomo è dentro un sepolcro e la Parola eterna è come zittita dalla morte che gli è stata inferta. Spesso In questa chiesa, dove sono rappresentate diverse scene della Scrittura e dei Vangeli, c’è n’è una molto suggestiva che vede al centro della scena di un affresco Gesù nell’atto della risurrezione. È vestito di bianco, con vesti splendenti, ed è rappresentato nel suo atto di risorgere alla vita. Vicino a Lui, alla sua destra e alla sua sinistra, ci sono un uomo e una donna che rappresentano Adamo ed Eva. Sono ancora dentro il sepolcro ma stanno per uscire in virtù del fatto che Gesù, con le sue mani, afferra le loro mani e con una potenza straordinaria, che l’affresco mette in evidenza, li strappa dalla loro situazione di morte per portarli alla vita. Mi pare che la Pasqua sia anzitutto questo: l’onnipotenza dell’amore del Signore risorto che strappa la nostra vita alla morte, al peccato, al male e, dunque, la salva. Tutti noi, se ci fermiamo a riflettere, capiamo che abbiamo bisogno di essere salvati, tutti, perché tutti avvertiamo che c’è una necessità di essere salvati dalla morte e dal male. Ma soltanto un Dio che viene in mezzo a noi con l’onnipotenza del suo amore, può strapparci da questa perdizione cioè dalla morte e dal peccato, i veri drammi della vita. La Pasqua è l’annuncio che Dio è venuto tra noi e non solo ha voluto passare attraverso la realtà del peccato, non solo l’ha preso sulle sue spalle ed è entrato nella morte per sconfiggere l’uno e l’altra, ma ci ha portato fuori da questa esperienza. La Pasqua è l’unica, vera, buona notizia per il mondo e di cui il mondo ha realmente bisogno. La Pasqua è lo splendore non soltanto di Dio, ma anche della vita dell’uomo». Eccellenza, che dono vorrebbe trovare nel suo uovo di Pasqua? Per lei, per la “sua” Diocesi, per noi? ho pensato che questo silenzio sia proprio il silenzio che ci induce alla fede, perché in quel momento nel quale Dio appare morto, nel momento in cui la Parola eterna è zittita, nel momento in cui Colui che è il Salvatore sembra tacere, inerme, sconfitto dal male presente nel mondo e nel cuore dell’uomo, il silenzio diventa un atto di fede. Un atto di fede in che cosa? Nel fatto che quella morte, quel silenzio, quella mancanza visibile della presenza del Salvatore in mezzo a noi, in realtà è premessa di un’aurora inimmaginabile; è premessa della Pasqua. Il sabato è proprio il giorno nel quale stiamo insieme alla Madonna, che è la donna della fede, chiamata da tanti “la donna del Sabato Santo”. Da Lei impariamo un atteggiamento di fede che rimane in silenzio di fronte a ciò che anche nella nostra vita non è del tutto comprensibile dal punto di vista umano, ma nella certezza che il Signore, in quell’apparente silenzio, in quell’apparente sconfitta, sta operando una vittoria ancora più grande e più bella. Allora, da questo punto di vista, mi pare che il giorno del Sabato, in realtà, sia un giorno che tante volte, nel corso della vita, incrocia il nostro cammino, perché tanti sono i nostri Sabati Santi. Tanti sono i momenti nei quali, davvero, non vediamo, non tocchiamo con mano, e diciamo: «Il Signore tace? Il Signore è distante? Il Signore non opera? Il Signore non c’è? Perché?». Ecco il nostro Sabato in cui l’atto di fede raggiunge i suoi vertici. Quell’atto di fede per il quale, nella certezza che il Signore ci ama, che davvero è con noi ed è per noi, siamo sicuri che il Sabato sia l’aurora della Domenica di Pasqua, la premessa della vittoria, ciò che anticipa e ci fa pregustare la luce della salvezza. Introdurre il Sabato in ogni nostra giornata, significa introdurre quell’atteggiamento di fede per il quale, con san Paolo, possiamo dire che “tutto concorre al bene per coloro che amano Dio”, perché davvero in tutto il Signore si rende presente con il suo disegno di amore e provvidenza, anche quando ci sembra che non sia così».
Pasqua è la festa della Risurrezione. La vita vince sulla morte. L’amore vince sulla morte. Che cosa continua a dire la Pasqua agli uomini e alle donne del nostro tempo, spesso sfiduciati e affaticati?
«In questi giorni ho avuto modo di presentare un libro che tratta di una chiesa particolarmente bella, esempio di arte bizantina, presente a Istanbul; una delle chiese più meravigliose, insieme a Santa Sofia. In questa chiesa, dove sono rappresentate diverse scene della Scrittura e dei Vangeli, c’è n’è una molto suggestiva che vede al centro della scena di un affresco Gesù nell’atto della risurrezione. È vestito di bianco, con vesti splendenti, ed è rappresentato nel suo atto di risorgere alla vita. Vicino a Lui, alla sua destra e alla sua sinistra, ci sono un uomo e una donna che rappresentano Adamo ed Eva. Sono ancora dentro il sepolcro ma stanno per uscire in virtù del fatto che Gesù, con le sue mani, afferra le loro mani e con una potenza straordinaria, che l’affresco mette in evidenza, li strappa dalla loro situazione di morte per portarli alla vita. Mi pare che la Pasqua sia anzitutto questo: l’onnipotenza dell’amore del Signore risorto che strappa la nostra vita alla morte, al peccato, al male e, dunque, la salva. Tutti noi, se ci fermiamo a riflettere, capiamo che abbiamo bisogno di essere salvati, tutti, perché tutti avvertiamo che c’è una necessità di essere salvati dalla morte e dal male. Ma soltanto un Dio che viene in mezzo a noi con l’onnipotenza del suo amore, può strapparci da questa perdizione cioè dalla morte e dal peccato, i veri drammi della vita. La Pasqua è l’annuncio che Dio è venuto tra noi e non solo ha voluto passare attraverso la realtà del peccato, non solo l’ha preso sulle sue spalle ed è entrato nella morte per sconfiggere l’uno e l’altra, ma ci ha portato fuori da questa esperienza. La Pasqua è l’unica, vera, buona notizia per il mondo e di cui il mondo ha realmente bisogno. La Pasqua è lo splendore non soltanto di Dio, ma anche della vita dell’uomo».
Eccellenza, che dono vorrebbe trovare nel suo uovo di Pasqua? Per lei, per la “sua” Diocesi, per noi?
«Il dono che desidero per me e per questo popolo che mi è affidato, per tutti noi, è di poter sperimentare in modo nuovo, forse ancora più profondo, più intenso, la bellezza di questo amore che in ogni giorno della Settimana Santa, e particolarmente nel Triduo, ancora una volta potremo contemplare, vedere, toccare con mano e far diventare nostro. Mi piace poi rivivere insieme il momento in cui Gesù è entrato nel cenacolo dove gli apostoli erano radunati, un po’ impauriti, dubbiosi. Lui entra da risorto, a porte chiuse, e la prima parola che dice ai suoi è: «Pace a voi». Penso che il dono della pace – che è il dono pasquale per eccellenza – sia un dono che sarebbe bello ascoltare dalla parola viva di Gesù, ricevere nel nostro cuore perché ridiventi criterio di vita. Il mio pensiero in questo momento va ai tanti teatri di violenza, di guerra, di dolore che ci sono nel mondo lontano da noi, ma anche vicino a noi; mi riferisco a tutti gli elementi di contrapposizione e divisione che viviamo anche nella quotidianità. C’è, però, qualcosa d’altro che è più profondo perché nel momento in cui Gesù dà la pace, dice: «Vi do la mia pace». La sua pace è quella che permette al cuore dell’uomo di essere in pace prima di tutto con Dio e poi di essere in pace con se stessi, con gli altri e con tutta quanta la realtà, compresa la creazione. Di questa pace davvero piena, autentica, complessiva, abbiamo tanto bisogno. Spero e chiedo nella preghiera che la pace che il Signore vuole darci, possa diventare realtà in questa Pasqua, così che siamo in pace con Lui, in pace con noi stessi, in pace tra di noi, in pace con gli altri, in pace con il creato. La pace è il primo dono che il Signore risorto desidera fare a ciascuno di noi».