Anche in rete il senso è sempre Gesù Cristo
Lunedì 15 aprile L’Osservatore Romano ha pubblicato l’articolo, scritto da don Paolo Padrini, nel quale si affronta uno dei temi del Cammino sinodale
Uno dei temi sui quali il Cammino sinodale si sta concentrando è quello della “missione digitale”. Un recente documento (14 marzo 2024) della Segreteria generale del Sinodo parla specificatamente di missione nel mondo digitale esprimendosi così: «Il cap. 17 della RdS costituisce l’orizzonte al cui interno cogliere l’importanza per la Chiesa di portare avanti la missione di annuncio del Vangelo anche nell’ambiente digitale, che coinvolge ogni aspetto della vita umana e va quindi riconosciuto come una cultura e non solo come un’area di attività. Tuttavia la Chiesa stenta a riconoscere l’azione nell’ambiente digitale come una dimensione cruciale della propria testimonianza nella cultura contemporanea (cfr. RdS 17b)». Quando si parla di “missione digitale” – così lascia intendere il documento quando parla di “cultura” e non solo di attività – non se ne parla in una prospettiva di missione come azione da svolgere ad extra, nei confronti degli altri, ma prima di tutto in una dimensione di cammino cristiano personale ed ecclesiale, che, in sostanza, è il cammino di chi “sta con Gesù”, insieme a lui attraverso le strade del mondo. Quindi, dal punto di vista del metodo, quella della “missione digitale” prima di essere un “compito” è una dimensione nella quale vivere. Non siamo chiamati a trovare i modi per portare Gesù nel mondo digitale. Siamo chiamati a vivere la dimensione missionaria della esperienza cristiana in un mondo nel quale l’ambiente vitale è ormai ambiente analogico-digitale. Questo è ciò che si può intendere per “missione digitale”. Riflettendo su questo argomento propongo qui – ovviamente senza alcuna pretesa di compiutezza – alcune linee di riflessione per un cammino cristiano nella dimensione della missione digitale.
Dimensione “pastorale”
Ogni esperienza di vita, di missione, che sia realmente cristiana, non può che essere vissuta in compagnia di Gesù, alla sua sequela. “Stare con lui” significa vivere ogni esperienza negli ambienti digitali come una esperienza “Cristica”, una esperienza che è sempre espressione del nostro vivere con Gesù. Non siamo chiamati a portare semplicemente Gesù nel digitale, ma a vivere come suoi discepoli nell’ambiente (anche) digitale, non sprecando nessuno degli incontri che in esso si realizzano affinché diventino realmente “incontri di salvezza”. Certamente ogni ambiente che si voglia abitare in modo consapevole, richiede “chiavi di accesso”, competenze culturali e linguistiche, e tutto ciò che è necessario al fine di viverlo con responsabilità e competenza. Ma tutto ciò non può essere confuso con un approccio tecnicistico o – peggio – funzionale. Ogni nostro respiro deve essere espressione di fede, poiché la fede è sempre vitale (“la fede senza le opere è morta”).
Dimensione “spirituale”
La vita nuova nello Spirito non può che essere alla base di ogni nostra azione, in quanto, in realtà, è la “prima azione” che siamo chiamati a compiere: “per noi vivere è Cristo”. Ecco perché anche la missione digitale non può che essere sperimentata come “esondazione” dell’Amore di Cristo che riempie i nostri cuori. Per essere missionari digitali occorre essere perciò uomini e donne che vivono in Cristo, che pregano, che si affidano a Lui, colui che opera veramente attraverso le nostre povere mani. Questo principio responsabilizza ancora di più il nostro agire, perché non vi può essere nessun luogo, nessun incontro che non possa/debba diventare luogo dell’incontro con Cristo; e quindi non può esserci nessun ambiente che non debba essere abitato da missionari del suo Spirito di Amore.
Dimensione “personale”
Dire che nel mondo digitale siamo in rete, non significa pensare ad un ambiente caotico, senza riferimenti, senza una direzione, senza un senso. Questo “senso”, è sempre Lui: Cristo che ci attira a sé. E questa attrazione è sempre un incontro personale vissuto nel cuore della Chiesa. Occorre perciò uscire dalla logica dell’appiattimento e del “rumore relazionale” che spesso si realizza nella rete, per ricercare sempre un incontro che sia vero, personale, diretto. Un incontro che possa aprire all’altro le porte dell’Incontro (con la I maiuscola): quello con Gesù. Incontro che si realizza concretamente attraverso il nostro volto capace di “guardare negli occhi” con la profondità dell’amore e della fraternità. Incontro che chiede anche di essere portato nella concreta esperienza di vita, fatta di ambienti digitali ma anche non digitali: non tanto però per uscire dal mondo digitale, ma per viverlo in una dimensione integrata fatta – come necessario– di contatto fisico, di condivisione di esperienze, di relazioni personali, dirette, intime.
Dimensione “salutare”
Come vigilare quindi su questa esigenza di “vita integrata” all’interno dei vari ambienti? Ricordandoci sempre che la nostra missione è incontro non tanto con l’altro… quanto con il fratello. Ogni atto comunicativo non è un sasso gettato nella rete, ma un evento significativo con il quale rispondiamo nella fede al dono dell’incontro con un fratello; un dono da custodire, del quale sentirsi responsabili e sulla quale sacralità costantemente vigilare, affinché non ci sia più l’altro, ma sempre il fratello. Un fratello con il quale intessere relazioni vere, al quale aprire luoghi di accoglienza, al quale offrire parole di verità (e non solo accondiscendenti) che sappiano sempre cambiare il cuore, aprire percorsi di conversione, sanare le ferite. Pensiamo a quanti disagi in rete si esprimono e quanto la missione digitale possa essere ospedale da campo dove lenirle tante sofferenze (spesso nascoste) con l’olio dell’Amore.
(da L’Osservatore Romano di lunedì 15 aprile 2024, pp. 11)