Parliamo di poveri: chi li conosce?
Posso anche immaginare cosa abbia spinto Gigino Di Maio, la sera di giovedì 27 settembre, a interrompere il consiglio dei ministri e uscire sul balcone di palazzo Chigi esultando davanti ai suoi deputati (che stavano sotto) e annunciando che la povertà è stata eliminata. Come sapete c’è di mezzo il reddito di cittadinanza sul quale il M5S ha costruito il suo programma elettorale e l’ha fatto digerire (controvoglia) al ministro Tria. Ciò che non riesco a capire è come possa convivere con l’intransigenza della Lega sui migranti all’interno della stessa nota al Documento di Economia e Finanza. Perché va bene che un Governo pensi ai bisognosi (il “come” ci pensi è tutto da vedere), ma allora deve anche pensare che la lotta alla povertà si esprime nell’accoglienza e nella difesa dei diritti delle persone. La solidarietà non può essere fatta a fette, come una torta, e la si realizza soltanto con la partecipazione. Sono due valori alla base della politica, che la fanno rinascere. Le istanze dei pentastellati e dei leghisti per ora stanno insieme incollate all’ultimo dentro il Def. Ma ci dicono che questi partiti (o movimenti) si sono uniti prima per mettere in piedi un Governo, poi per discutere, raddrizzare, rettificare programmi diversi che non condividevano. Resta il fatto che la guerra alla povertà non è solo numeri o centri per l’impiego; è un processo culturale, formativo, di sensibilizzazione verso chi non ha bisogno di un aiuto generico. Vorrei, per paradosso, che noi di povertà non parlassimo più, ma lasciassimo la parola a chi incontra i poveri da vicino, lontano dai salotti della politica e delle nostre case, lontano dalla demagogia. Infine, vorrei che il ministro del Lavoro tutelasse l’occupazione e la libertà d’espressione anche dei giornalisti di “Repubblica” e del Gruppo Gedi (ai quali va la mia solidarietà) pur sapendo che sotto il balcone loro non c’erano.