I miei corridoi
Di Carlo Zeme
Non abbiamo mai tempo. Mi sveglio la mattina e penso che sarebbe stato meglio mettermi in moto almeno dieci minuti prima. Mi faccio il caffè e penso che la Moka abbia una calma innata che è irritante se sei di fretta. Mi vesto sbadatamente, scendo le scale correndo e salgo sulla Panda, il quadro dietro il volante mi saluta con una spia gigante gialla che mi ricorda che la benzina (e la barba) sono da fare da un po’, ma anche questa volta decido di rimandare. Sono le 7.55 del mattino e mi sembra di aver già vissuto una giornata lunghissima. Con Melina e Margherita ci ritroveremo tra otto ore, una vita praticamente. Come fosse un messaggio vocale che non hai voglia di ascoltare provo a mettere il tasto “velocità x 2” a tutte le ore che mi aspettano al lavoro. A volte ci riesco, a volte è più difficile. A volte semplicemente le giornate sembrano quasi inutili, le pratiche che devo sbrigare sono grigie e assomigliano a del tempo rubato, anzi, direi a del tempo annoiato. Il mio cervello, che è campione mondiale di cassetti della memoria aperti e mai richiusi, mi riporta ai lunghi corridoi delle scuole superiori. La mia scuola superiore, un ecomostro in periferia che se guardavi fuori dalle finestre ti scappava quasi involontariamente un “una volta qui era tutta campagna”. Da quei corridoi si poteva ammirare un adolescente senza Panda e senza barba che quando si annoiava tra lezioni di Matematica e Storia alzava la mano e chiedeva se poteva andare in bagno. Alla professoressa di turno cadevano le braccia e tutte le speranze in un mondo migliore ma almeno al sottoscritto quella boccata d’aria salvava la mattinata. Ho fatto così anche a lavoro, mi sono alzato dalla mia postazione e ho avvisato chi avevo intorno che sarei tornato tra un attimo. Lungo il corridoio simile alle mie scuole superiori mi vibra la tasca, è un video, lo apro, Margherita come un’esploratrice striscia sul suo tappetone e afferra la sua paperella preferita e tira fuori un sorriso che ridona a tutti la speranza in un mondo migliore. Bisogna ricordarsi più spesso che le cose migliori avvengono in un corridoio. O al massimo su un tappetone.
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