C’è solo un rumore bianco

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Di Davide Bianchi

Come scrissi settimane fa, la scuola a giugno, ad attività didattiche terminate, è un luogo quasi irriconoscibile. Corridoi vuoti, lunghissimi, nei quali incroci di tanto in tanto qualche adulto; classi spoglie, chiuse, quasi fossero posti semi abbandonati. Di cose da fare ce ne sono, ovviamente, ma il loro valore e funzione restano comunque sullo sfondo, subalterni a quella che è l’effettiva linfa vitale che circola incessantemente e nutrendo e vivificando di senso quel luogo: i rapporti umani che si instaurano tra gli studenti in primis, e quelli tra quest’ultimi e gli insegnanti. È la condivisione di natura sociale, relazionale che fa di uno spazio fisico non un astratto piano cartesiano configurato ortogonalmente dagli assi delle ascisse e delle ordinate, bensì un vero e proprio luogo antropologico, un autentico ambiente umano, pregno di significato, altamente simbolico e codificato, in cui si fanno esperienze, si vive, si dialoga, si interagisce. La scuola nei mesi estivi è paragonabile a un rumore bianco, un particolare suono che si protrae nel tempo e ha al proprio interno tutti i toni possibili nell’arco dello spettro sonoro, caratterizzati dal medesimo livello di ampiezza. Questa mi sembra la scuola d’estate: una sinestesia impiegata per coprire un silenzio quasi assordante, sicuramente estraniante. La scuola senza i bambini è un rumore bianco come potrebbe essere quello di un ventilatore accesso in una stanza, o il suono di una radio o di una televisione sintonizzate rispettivamente su una frequenza o su un canale inutilizzato. La scuola in questi mesi è un “nonluogo”, efficace neologismo coniato dall’antropologo francese Marc Augé, volto a indicare tutti quegli spazi che hanno la caratteristica di non essere identitari, relazionali e storici. Ecco, forse la scuola, priva degli alunni e della sua naturale vocazione, si trasfigura da luogo antropologico a un non-lieu, uno spazio in cui delle individualità si incrociano senza entrare necessariamente in relazione, spinte – nel nostro caso – più che dal desiderio di acquistare merci o consumare beni e servizi, di effettuare operazioni standard come il compilare della modulistica o il riordinare degli scaffali. La scuola d’estate mi sembra evocativa di un’epoca, la nostra, esclusivamente incentrata sul presente, caratterizzata dalla precarietà e dal passaggio di individualità solitarie. Le persone transitano per quei corridoi, ma nessuno vi abita davvero, perlomeno fino a settembre.

biadav@libero.it

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