Il teatro che ci fa bene

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Di Davide Bianchi

Nel corso dell’anno scolastico si articolano e si effettuano una svariata molteplicità di progetti che coinvolgono studenti e insegnanti: progetti di musica, laboratori di arte, esperienze di lettorato in una seconda lingua, attività di avviamento a varie discipline sportive, piani strutturati di alfabetizzazione e recupero, progetti riguardanti l’inclusione, l’integrazione e il contenimento della dispersione scolastica, laboratori digitali e informatici, etc. Sono tutte esperienze e iniziative lodevoli e la maggior parte di esse anche molto funzionale ed efficace al fine di fare della scuola non un mero spazio di apprendimento, ma anche e soprattutto un luogo vivo e sociale di interazione e circolazione di abilità e competenze condivise. In poche parole, si fa della scuola una comunità nella quale i membri si sentano tutelati nel loro essere, liberi di esprimersi e in un quadro interazionale di riconoscimento reciproco della loro individualità e della loro storia. Tuttavia, tra le attività laboratoriali che reputo più interessanti e proficue nello sviluppo psico-affettivo e socio-relazionale del soggetto, l’esperienza teatrale occupa sicuramente un posto privilegiato. La scuola “Paolo Baffi” di Broni per la quale lavoro vanta un lunga tradizione di composizione, allestimento e realizzazione di spettacoli teatrali interamente recitati dai bambini. Io stesso ho potuto negli anni assistere come spettatore a performance straordinarie, anche per opera del sapiente lavoro delle colleghe sui testi, i dialoghi, la regia, i costumi, la scenografia, le musiche. In un’epoca di individualismo autoreferenziale, solitudine digitale e narcisismo acritico, il teatro sembra andare in una direzione ostinata e contraria: in qualità di forma d’arte corale, promuove il lavoro di gruppo, la collaborazione e l’apertura verso l’altro in vista di un fine comune. Favorisce l’accettazione reciproca, l’inclusione sociale, l’integrazione culturale e la valorizzazione delle differenze. Inoltre potenzia l’uso di linguaggi verbali e non, la comunicazione corporea, gestuale e musicale, consentendo di veicolare all’esterno emozioni e stati affettivi, anche sgradevoli o disfunzionali, che spesso restano celati, repressi o reclusi nella propria interiorità. Il potere catartico dell’esperienza teatrale, già ai tempi descritto da Aristotele, declinato nella contemporaneità e in un contesto pedagogico ed educativo, sembra quindi investire tanto gli spettatori, quanto i piccoli attori sul palco.

biadav@libero.it

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