Nostra compagna ansia

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Di Ennio Chiodi

Se ne parla poco, ma il problema – di questi tempi– è molto serio. I dati emersi dalle numerose indagini prodotte in occasione della Giornata mondiale della salute mentale, sono preoccupanti anche se non di immediata interpretazione. Ci dà una mano, come accade frequentemente, il presidente Sergio Mattarellla, che ha voluto rivolgere in quella occasione un messaggio essenziale e diretto: «Il tema della salute mentale – avverte il presidente della Repubblica – viene ancora troppo spesso trascurato. È necessaria una rete di supporto adeguata ai bisogni delle persone con disturbi mentali anche per sostenere le famiglie che ogni giorno si trovano ad affrontare un enorme carico emotivo e fisico.» Facciamo i conti con ansia, disagio mentale e depressione, in ogni momento della nostra vita e in ogni situazione: in famiglia, a scuola, in ufficio, in fabbrica, in azienda. L’eredità della pandemia, dell’isolamento, della didattica a distanza, dello smart working, la convivenza con le guerre alle porte di casa e con gli effetti del cambiamento climatico, producono ansia e lasciano segni pesanti, mettendo a dura prova sistemi e strutture di cura e sostegno, a cominciare dalla medicina di base che del disagio psicologico si è sempre molto poco interessata. Secondo la Conferenza Stato-Regioni, che si occupa di coordinare l’assistenza sanitaria pubblica, sarebbe necessario investire nella salute mentale il 5% del Fondo sanitario nazionale: il doppio dei 3 miliardi e mezzo oggi destinati all’assistenza psichiatrica. Mancano psicoterapeuti nelle scuole e nei luoghi di lavoro. Chi può permetterselo ricorre al privato; chi non può cerca di cavarsela in qualche modo. Preoccupano soprattutto i più giovani che subiscono una sorta di “deprivazione del futuro”. I dati forniti da società affidabili come Doxa, del resto, parlano chiaro: i giovanissimi a rischio di seri disturbi psichici sono passati dal 5% del 2022 al 7% di oggi, mentre nella fascia 14-24 anni sono passati dal 41% al 48%. Non meraviglia che tra i responsabili più accaniti ci siano web, social e videogames. Tik Tok, Instagram e dintorni sono in grado di innescare meccanismi di dipendenza in 700 mila giovani. Molti di loro ne fanno uso compulsivo e molti si trasformano in “hikikomori”: non lavorano, non vanno a scuola, restano isolati in casa. Si moltiplicano tra gli adulti i casi di ansia generalizzata e di “burnout” nei luoghi di lavoro: intravedono un futuro minacciato dalla invadenza della tecnologia, da fantasmi tanto indistinti quanto angoscianti come intelligenza artificiale e robotizzazione. Il disagio mentale può manifestarsi più lentamente di altre malattie ma può essere curato con successo prima che sia troppo tardi.

enniochiodi@gmail.com

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