La pensione diventa un miraggio

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Di Cesare Raviolo

Pensione: un tema di cui si parla spesso, ma con un certa superficialità; invece meriterebbe maggior attenzione, sia con riguardo alla realtà odierna, sia alle prospettive future. Dal XXIII Rapporto annuale dell’Inps emerge che, nel 2023, sono stati 16.205.319 i pensionati italiani, cioè il 27,5% della popolazione; hanno ricevuto complessivamente 346.605 milioni di euro di reddito pensionistico per un importo medio lordo mensile pro capite di 1.782,36 euro. Questo valore è un indicatore statistico: nella realtà, ci sono pensioni da 507,02 euro (assegno sociale) e la cosiddetta “minima” da 567,94 euro (nel 2023). Il 47% delle prestazioni pensionistiche è erogato al Nord mediamente per 1.957 euro al mese; il 19,5% al Centro (1.931), il 31,4% al Sud (1.593) e il 2,1% all’estero (487). L’81,6% delle pensioni riguarda cittadini di 65 e più anni, il 16,2% di età compresa tra 20 e 64 anni e il 2,3% persone fino a 19 anni. L’importo lordo medio mensile va da un minimo di 424 euro per i soggetti fino a 19 anni a un massimo di 2.056 euro per chi è tra i 65 e i 69 anni. Il 54,1% delle prestazioni è di vecchiaia anticipata, il 3,3% di invalidità, l’8,4% dei superstiti, 12,2% assistenziali, il 22% pensioni Ivs e Ivs + assistenziale. Le pensioni di vecchiaia anticipata, Ivs e Ivs e assistenziale superano in media i 2.000 euro mensili, quelle di invalidità arrivano a 1.417 euro, quelle ai superstiti a 1.124, mentre quelle assistenziali ammontano a 655. Le prospettive future appaiono molto negative. Dato l’attuale quadro demografico, caratterizzato dal progressivo invecchiamento della popolazione e dalla costante diminuzione delle nascite, la sostenibilità del sistema pensionistico italiano – basato sull’equilibrio intergenerazionale – è destinata a peggiorare, con sempre più pensionati e sempre meno lavoratori a finanziare i loro assegni. Su questi, infatti, peserà anche il ritardo con il quale oggi i giovani entrano nel mercato del lavoro e la precarietà degli impieghi, con l’inevitabile passaggio, stante l’attuale sistema contributivo, da un lavoro povero a una pensione povera. Dunque, a parte improbabili futuri mutamenti per motivi sociali e politici dei saldi naturale e migratorio, l’ipotesi di pensioni future al 50% dell’ultimo stipendio appare più che plausibile. Le alternative non sono molte: maggiori trasferimenti pubblici all’Inps per coprire il divario contributivo oppure crescita della previdenza integrativa. Entrambe difficili da finanziare con gli attuali livelli del debito pubblico e degli stipendi.

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