Adolescenti che uccidono
Di Ennio Chiodi
Nel momento in cui scrivo nulla è certo, salvo che nei giorni scorsi altre due giovanissime ragazze sono state strappate violentemente alla vita, alle loro famiglie, al loro inestimabile futuro. Si chiamava Aurora la tredicenne precipitata a Piacenza dal tetto di un palazzo di 7 piani mentre era in compagnia di un ragazzo di 15 anni. La ragazza – poco più che bambina in verità – era in allarme e aveva segnalato il comportamento preoccupante del fidanzatino. «Lei non era pazza né depressa, lui era ossessivo e geloso» – denunciano la madre e la sorella: termini che ricorrono in vicende analoghe. Indagato a piede libero per omicidio, è stato fermato e condotto in carcere. Sono piccoli, ma crescono troppo in fretta e vivono relazioni da grandi, talvolta senza ingenuità: “crush”, relazioni, fidanzamenti, gelosie, abbandoni, vendette e rivincite. È sufficiente guardarsi attorno: sono rari i casi estremi, ma questi comportamenti sono diffusi, anche nelle nostre famiglie o in quelle dei nostri conoscenti. Aveva invece 18 anni e studiava per diventare operatrice sanitaria, Sara Centelleghe, uccisa a forbiciate da un vicino di casa in circostanze ancora da chiarire: era nel suo appartamento da sola in quel momento. Jashan Deep Badhan, magazziniere, di origine indiana, 19 anni, senza precedenti, ha confessato ma ha dichiarato di non sapere perché lo abbia fatto, escludendo motivazioni sessuali o sentimentali e ammettendo solo di avere bevuto molto: «Ho ucciso, ma non so perché». Anche questa già sentita: uccidere senza motivo, senza alcun movente apparente. Un motivo per uccidere lo hanno i giovanissimi criminali delle baby gang che si affrontano per il controllo del territorio, magari un isolato o poco più di un condominio. A Napoli nei giorni scorsi, nel corso di un “torneo” poco cavalleresco a bordo degli scooter di ordinanza, un quindicenne ha sparato e un quindicenne è morto ammazzato. L’elenco potrebbe allungarsi nei prossimi giorni. Stampa e Tv se ne occupano sempre meno. Si approfondisce e si racconta – anche troppo – solo se il caso diventa per qualche ragione mediatico e produce popolarità e ascolti. Perché gli adolescenti uccidono? Perché non si percepisce il disagio e si trascurano i segnali premonitori che lo denunciano? Chi se ne deve accorgere quando non riescono a farlo la famiglia, la scuola, gli amici? Andare oltre scontate spiegazioni moralistiche e sociologiche non è facile. La solitudine accompagna sempre più di questi tempi – la vita di molti adolescenti. Una solitudine invisibile, ma fitta e pesante, che opprime vittime e carnefici in un percorso, quello della vita, che appare come un gioco che non vale neppure la pena di essere giocato.
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