Il ballo della vita

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Di Silvia Malaspina

Caro nonno Gino, sei diventato famoso in questi ultimi giorni come il “nonno che balla al funerale del nipote”, il che ha dato adito a svariate interpretazioni e molteplici commenti, spesso inopportuni. Tuo nipote Kevin di 15 anni è deceduto il 25 ottobre scorso in seguito a un incidente stradale in cui era stato coinvolto mentre, a bordo della propria Vespa 50, si stava recando a scuola, all’istituto agrario “Sartor” di Castelfranco Veneto. La perdita di Kevin ha destato sgomento e dolore nell’intera comunità, come sempre accade quando un giovane virgulto viene così crudelmente reciso, e tu, caro nonno Gino, hai confessato di esserti recato sul luogo dell’incidente e di esserti accasciato disperato sul suo corpo inerme: «Continuavo a chiedermi perché non potessimo scambiarci i corpi». Al termine delle esequie di Kevin, hai compiuto una scelta originale: ti sei lanciato in un ballo davanti alla bara del tuo amato nipote, sulle note di un brano di musica techno, mentre la folla ti incitava battendo le mani. Devo confessarti, caro nonno Gino, che sono rimasta un po’ sorpresa di fronte a un ballo sul sagrato di una chiesa, ma sono convinta che nessuno dovrebbe avere il coraggio di giudicare questo tuo gesto, nato da un dolore che tu stesso hai definito «doppiamente contro natura, è un dolore immenso che ti mangia e ti distrugge». Tu e Kevin condividevate la passione per la musica e l’idea della danza è stata una tua iniziativa, dopo aver avuto l’assenso da parte di tuo figlio e di tua nuora. È stato un ultimo gesto di vicinanza e di empatia che io definirei ballo della vita, trovandomi in accordo con le tue parole: «In quei momenti ho avvertito la presenza di Kevin in mezzo a noi. Quel che non sapevo è che qualcuno avrebbe ripreso la scena con un telefonino, che il video sarebbe finito sui social e sui giornali. Chiedo scusa se ho urtato la sensibilità di qualcuno, ma quel ballo è stata una dichiarazione d’amore a mio nipote.» Caro nonno Gino, non devi chiedere scusa a nessuno: nello scorso numero il nostro direttore ha scritto che non dobbiamo avere timore di parlare della morte, io aggiungerei che non dobbiamo avere scrupolo nel mostrare i nostri sentimenti di fronte alla morte. C’è chi piange disperato, chi si chiude nel mutismo, chi accompagna il defunto con poesie, brani musicali o oggetti a lui cari, chi opta per i funerali in forma privata: ognuno elabora il lutto nella maniera che gli risulta più congeniale e meno traumatica, ma, qualsiasi sia la scelta, si tratta di un atto d’amore che, pur se talvolta non condiviso e apprezzato, chiede e merita rispetto.

silviamalaspina@libero.it

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