New York di speranze, illusioni, terribili tragedie
Il reportage. Nei giorni della maratona e di Halloween, precedenti le elezioni, il nostro Ennio Chiodi è stato nella Grande Mela. Ecco il racconto di ciò che ha visto:
una istantanea di un luogo simbolo che ci fa capire come è cambiata l’America
DI ENNIO CHIODI
«Ci mettiamo un’ora e dieci minuti. Sono 120 dollari». Il tassista, di origine indiana, che ci carica all’uscita del JFK, il più grande aeroporto di New York, comunica con trasparenza i dati del percorso. Mi sorprende quasi subito chiedendomi di Giorgia Meloni. «In India – racconta – è molto popolare». Gli incontri cordiali con il premier Novendra Modi hanno evidentemente lasciato il segno. Approfitto del tono disteso e gli chiedo se andrà a votare. «No! Non ho tempo. Ci andrei se mi pagassero le ore di lavoro perse». «E per chi voterebbe?». «Per Trump, certamente! Ormai tutto costa troppo. Non ce la facciamo». Così molti risponderanno, nei giorni successivi, alle mie domande indiscrete: inflazione e paura, insicurezza e immigrazione incontrollata sono percepiti come pericolo opprimente, ben al di là della reale situazione economica e di controllo della società. Le speranze riposte in Kamala Harris, cominciano a dissolversi già nelle prime ore di quel breve viaggio. Il risultato elettorale confermerà questa sensazione: perfino a New York, da sempre roccaforte liberal e democratica, qualcosa sta cambiando. Il “Blue Wall”, il muro blu democratico disegnato dai sondaggisti sulle mappe degli Stati costieri dell’Est e dell’Ovest, può sgretolarsi da un momento all’altro. Sto per dirgli che anche la tariffa del taxi è molto cresciuta negli ultimi anni, ma poi penso che il “Tip”, la mancia che gli lascerò, sarà per lui, come per molti altri lavoratori dei servizi e della ristorazione, parte essenziale della retribuzione. Il pos delle carte di credito te lo propone in automatico: il minimo è il 18%. Basta poco per rendersi conto di quanto abbia corso l’inflazione in questi tempi che manco da New York: il primo snack, il primo hamburger, la prima birra in città.
Per raggiungere il quartiere di Chelsea, attraverso Midtown Tunnel, si passa da Queens, uno dei grandi distretti che circondano Manhattan. Queens, come Brooklyn, Staten Island e il Bronx, non sono più solo grandi quartieri popolari, abitati prevalentemente da comunità etniche e dagli strati sociali più deboli. In buona parte riqualificati e rinnovati urbanisticamente, accolgono oggi famiglie in fuga da Manhattan e da un costo della vita sempre meno sopportabile anche per un ceto medio lontano dalla precarietà. In diverse zone di Manhattan palazzi e grattacieli si svuotano in attesa di nuovi e più ricchi inquilini. «I nostri studenti – mi dice il professore Stefano Albertini docente alla New York University, uno dei più grandi Atenei privati degli States – vivono ormai nei Districts. Pagano rette da 80.000 dollari all’anno, ma non possono permettersi un piccolo flat a Manhattan». Anche il Covid ci ha messo del suo: con lo “smart working” moltissimi colletti bianchi hanno progressivamente abbandonato, fisicamente, uffici e servizi.
Ne ha sofferto anche l’indotto: ristoratori e commercianti, soprattutto, hanno perso la fonte primaria del loro reddito.
Il fantastico colpo d’occhio della skyline e del cuore di Manhattan tuttavia non cambia, anzi si arricchisce di nuovi elementi. Rispetto ai grandi classici “Art Deco” degli anni ’30, come l’Empire State Building, il Chrysler o il Rockfeller Center (assolutamente da non perdere il tramonto sul “Top of the Rock”), i nuovi grattacieli residenziali, come il “432” sulla Sesta Avenue e la “Central Park Tower”, svettano sempre più sottili e slanciati. E sempre più alti, a superare gli altri, e offrire ai fortunati abitanti una vista che scavalchi le torri vicine, a costi evidentemente adeguati. Proprio di fronte al Rockfeller Center, sulla Fith Avenue, la cattedrale neogotica di San Patrizio– costruita nella seconda metà dell’800 più che nascosta, appare protetta dai grattacieli che la circondano: un luogo di raccoglimento ricco di storia. Si deve agli americani di origine irlandese, cattolici orgogliosi e determinati, che costituivano, al tempo, un quarto della popolazione di Manhattan. Oggi i cattolici negli Stati Uniti sono 60, 70 milioni, circa il 25% della popolazione. La comunità è arricchita dalla crescita dei Latinos, gli immigrati ispanici giunti dal Centro e Sud America. Per la cronaca: i bianchi hanno votato al 60% per Trump. Neri e Latinos in grande maggioranza per Harris.
Central Park è più animato del solito, anche per la presenza di tanti runner che si preparano alla più famosa e ambita maratona del mondo, che attraverserà i cinque distretti di New York City. Chelsea, dove alloggio con la mia famiglia, sorge poche strade più giù del caos di Times Square. È uno dei quartieri di Downtown – la parte bassa della città un tempo destinata a fabbriche, magazzini e case molto popolari oggi più alla moda, con edifici recuperati e intere zone trasformate, con criteri architettonici avveniristici e di grande eleganza. La chiamano “gentrification”. Una delle zone residenziali più ambite è oggi Meatpacking, fino a pochi anni fa un triste luogo occupato solo da macelli. Una veloce ascensione al 100° piano di “The Edge” con il suo tetto in vetro trasparente esposto sulle rive dell’Hudson River, emoziona e conquista: è difficile rassegnarsi a tornare giù.
Quando lo fai le sorprese, anche inquietanti, non mancano. Il “Vessel”, proprio sotto il grattacielo è una struttura architettonica a nido d’ape di grande eleganza e leggerezza, alta una cinquantina di metri. Da simbolo di ricostruzione della zona di Hudson Yards era diventato luogo privilegiato per i suicidi. Dopo un lungo periodo di chiusura è stato riaperto ma non è consentito l’accesso alle persone sole. Anche questo è New York con le sue contraddizioni, speranze, illusioni e tragedie, terribili tragedie. La vista che si offre dall’Osservatorio sul tetto del nuovo grattacielo del World Trade Center – il più alto di tutti – ti guida verso il mare, la Statua della Libertà ed Ellis Island, l’isola che accoglieva gli immigrati fuggiti dall’Europa in cerca di futuro. Ti aiuta a ricordare che moltissimi tra loro erano italiani. Ci puoi arrivare con la Subway, la metro di New York, un po’ sgangherata e non facilissima da percorrere senza “allenamento”. Quando esci dalla straordinaria stazione bianca ideata da Santiago Calatrava dove sorgevano le Torri Gemelle, e accedi al Memoriale dedicato alle vittime del più grave, feroce, attentato terroristico della storia moderna, il tempo si ferma.
L’emozione diventa profonda commozione quando ti trovi immerso nella “memoria”, accanto a decine di visitatori che si fanno corpo unico, cercano e incontrano gli sguardi, quasi a chiedere conforto e risposte che ancora non troviamo. Quando esci, le voci degli estremi disperati messaggi d’amore verso le persone più care, nella consapevolezza degli ultimi istanti di vita, non ti mollano.
Le porti con te in una Manhattan caotica e affollata nei giorni della maratona, di Halloween e della vigilia elettorale.