Imprese italiane conquistate?

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Di Cesare Raviolo

Mentre diverse imprese straniere abbandonano l’Italia (ultima in ordine di tempo Dfs Italia del gruppo Lvmh di Bernard Arnault, polo dell’alta moda a Venezia con 226 addetti, in rosso per 100 milioni), sono ancora numerose le aziende italiane in mano a soci stranieri. Secondo un report riferito al 9 ottobre 2024, di Infocamere, società informatica delle Camere di Commercio, pubblicato da Affari Finanza, le imprese italiane con almeno 1 socio straniero erano poco meno di 184 mila, vale a dire il 10% di tutte le società di capitale ed erano quasi 32 mila quelle in cui il pacchetto di maggioranza era detenuto da 1 socio straniero. Dai bilanci 2023 è emerso un valore della produzione di circa 372 miliardi di euro. I Paesi che hanno concluso il maggior numero di operazioni sono stati Gran Bretagna (4.556), Svizzera (3.945) e Lussemburgo (3.769), mentre pacchetti di controllo sono stati acquisiti soprattutto da Francesi per 15,3 miliardi, Olandesi per 14,5 e da Lussemburghesi per 7,4. Nel complesso, le partecipazioni di controllo detenute da stranieri ammontano a 65 miliardi di euro. Di recente, gli investitori stranieri hanno manifestato un crescente interesse per il settore del commercio all’ingrosso e al dettaglio, dove controllano il 18,29% delle imprese e il 38,65% della produzione. Ultimi in ordine di tempo i Francesi di Fanc Darty con la scalata a Unieuro di cui detengono ormai il 71,5% e puntano ad arrivare al 90%. Secondo l’Area Studi di Mediobanca, il 48,8% della manifattura italiana ad alta tecnologia (laser da taglio, biomedico, ecc.) fa capo a società controllate da gruppi cinesi, colossi europei e corporation statunitensi. Rispetto al passato, quando gli stranieri erano interessati alle imprese di maggiori dimensioni arrivando a controllare il 15% di tutte le società italiane con un fatturato superiore a 50 milioni e a detenere partecipazioni per 319 miliardi nelle società quotate, negli ultimi tempi, gli investitori esteri hanno rivolto la loro attenzione alle Pmi cioè Piccole Medie Imprese (soprattutto digitali), l’1% delle quali è in mano a soggetti internazionali. Il fenomeno non è da sottovalutare e deve destare qualche preoccupazione perché, spesso, entro poco tempo dall’acquisizione, circa la metà delle imprese rilevate dal capitale estero cessano di essere entità autonome per diventare semplici divisioni dell’acquirente e, quindi, soggette alle scelte più o meno strategiche di quest’ultimo. Il rischio di un depauperamento del tessuto imprenditoriale nazionale è forte, così come le conseguenze sul piano dell’occupazione.

raviolocesare@gmail.com

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