Addio all’Italia del bianco
DI ENNIO CHIODI
La decisione della multinazionale turca Beko Europe di chiudere alcuni stabilimenti per la produzione di elettrodomestici in Italia, comporterà il licenziamento di quasi duemila dipendenti. Li chiamano “esuberi”, ma sono persone, famiglie, per le quali il futuro diventa nebuloso e precario. Un finale annunciato, come avvenuto più volte negli ultimi anni, in Italia. Multinazionali con pochi scrupoli affrontano – di questi tempi– con la chiusura dei siti e il trasferimento della produzione le difficoltà create dalla globalizzazione e dalla concorrenza di luoghi più “accoglienti” dal punto di vista del costo del lavoro e dei diritti dei lavoratori. Siamo di fronte qui alla fine definitiva di un’epoca che ha segnato la vita e il costume della nostra società per decenni. L’industria dell’elettrodomestico ha favorito la rapida crescita del Paese nel dopoguerra, negli anni del miracolo economico, contribuendo con il 2/3% al Pil nazionale, seconda solo a quella dell’automobile che raggiungeva il 4/5%. Era l’Italia del bianco, perché bianchi erano i frigoriferi, le lavatrici, le lavastoviglie, che la pubblicità raccontava annunciando l’inizio di una nuova era felice per le famiglie e in particolare per le donne italiane, che di quegli spot erano protagoniste assolute. Si muovevano, leggiadre, nei filmati di “Carosello”, quasi danzando, con i loro grembiuli, ovviamente bianchi, a proteggere abiti sobri, ma comunque eleganti: regine della casa, grate per i nuovi compagni di vita che rendevano tutto più facile e scorrevole. Beko – come prima Whirpool ed Electrolux – aveva assorbito quel che restava di quello straordinario patrimonio industriale e familiare. Marchi iconici come Ignis, Candy, Rex, Indesit, Ariston, Zoppas, erano legati indissolubilmente ai nomi di famiglie di imprenditori coraggiosi e lungimiranti, che hanno costruito talvolta la loro fortuna partendo da piccole aziende familiari, sempre strettamente legati ai loro territori cui garantivano lavoro e sviluppo: la Varese dei Borghi, la Brianza dei Fumagalli, la Fabriano dei Merloni, il Friuli degli Zanussi, la Conegliano degli Zoppas. Attorno agli anni ’80 uno slogan molto noto recitava: “Zoppas li fa e nessuno li distrugge”. Forse, però, stavolta ce l’hanno fatta. Il declino di quelle aziende, cui oggi le multinazionali danno il colpo di grazia, era iniziato, per la verità, con il disimpegno delle seconde e terze generazioni di quei capitani d’impresa: figli e nipoti che di fronte alle prime difficoltà avevano preferito disarmare e darsi alla finanza. Un destino comune anche ad altri imperi industriali, tramontati ai confini degli “Hedge Fund” e del “Capital Gain”, dei fondi di investimento speculativi e dei giochi di Borsa.
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