«Così i nostri cari sono stati uccisi due volte»
Ex Fibronit di Broni. La Procura di Pavia ha chiesto l’archiviazione per il secondo filone del processo che coinvolge 470 persone che dal 2009 a oggi sono morte per mesotelioma: nessuno sarebbe responsabile. Sconcerto tra i parenti delle vittime
DI OLIVIERO MAGGI
Dopo vent’anni di inchieste, indagini e processi restano ancora senza colpevoli le morti d’amianto alla ex Fibronit di Broni. L’ultimo atto di questa vicenda è la richiesta di archiviazione, avanzata dalla Procura di Pavia, per il secondo filone del processo Fibronit, che coinvolge 470 parti lese, ovvero persone che, tra il 2009 e oggi, si sono ammalate di absestosi o sono decedute per mesotelioma. Sull’esposizione all’amianto e lo sviluppo di malattie collegate la scienza non ha fornito certezze assolute, né sul nesso di causa e nemmeno sul lasso di tempo che intercorre tra l’innesco della patologia e il suo decorso; quindi, è impossibile, secondo questa premessa, stabilire le responsabilità per chi si ammalò e morì. È la sintesi delle motivazioni della richiesta di archiviazione, che, ovviamente ha scatenato il dibattito, tra l’indignazione e le sconforto dei familiari delle vittime, secondo i quali «i nostri cari sono stati uccisi due volte».
«Non si può non essere amareggiati e ormai rassegnati a non avere giustizia. – il commento di Silvio Mingrino, che ha perso entrambi i genitori per il mesotelioma, e dal 2008 guida l’Avani, associazione a supporto delle vittime dell’amianto, dei malati e delle loro famiglie – Come ho sempre detto, si condanna molto di più chi va a rubare una gallina rispetto a chi potrebbe essere colpevole di omicidio colposo plurimo. È una grande botta, un’ennesima delusione; purtroppo, viviamo in uno Stato dove la giustizia è fantasma. Bisognerebbe portare alla sbarra e accertare le responsabilità di chi sapeva, a livello di Stato, della pericolosità dell’amianto e non ne ha informato chi lavorava nelle fabbriche e chi lo utilizzava per le coperture di abitazioni, magazzini e pollai. Purtroppo, siamo di fronte a un’ennesima sconfitta per la giustizia». Per i familiari è una ferita che non si è mai chiusa: «Già aver sottoposto all’autopsia entrambi i miei genitori per chiarire le cause del decesso è stato come elevare il lutto all’ennesima potenza. Oggi questa decisione vergognosa aumenta il lutto ancora di più. È come se ci avessero ucciso i nostri cari una seconda volta» – aggiunge Massimo Gramegna, che ha perso per mesotelioma entrambi i genitori. «Nella casa in quartiere Piave il cortile era sempre coperto da una polvere bianca di fibre d’amianto. Tre dei bambini che a quel tempo giocavano in cortile sono già morti di mesotelioma». È il dolore di Manuela Gasio, che ha perso la sorella Mara nel 2015: «Il mesotelioma mi ha strappato mia sorella in nove mesi in modo terribile, lei che era una donna piena di vita. – dice – Fa molta rabbia questa decisione, perché i nostri cari sono stati uccisi, ci sono stati dei responsabili, ma il prezzo più grande l’abbiamo pagato solo noi. È una ferita che non si chiuderà mai più».
Rammarico per la decisione della Procura è stato espresso anche dai sindaci di Broni e Stradella, realtà dove, nel ventennio 2000/2020, in base ai dati del Registro Mesoteliomi Lombardia, si è registrata un’alta incidenza di casi di mesotelioma, enormemente maggiore del dato regionale. «Le sentenze vanno rispettate. Di certo, però, non si può negare il rammarico per quanti hanno affrontato situazioni dolorose senza ricevere alcun risarcimento» – dichiara Antonio Riviezzi, primo cittadino di Broni. Per il sindaco di Stradella, Gianpiero Bellinzona, che ha perso il fratello e il cognato per il mesotelioma, «non è solo Broni ma tutto il territorio circostante a non avere avuto giustizia per questa sentenza, perché qui non c’è famiglia che non sia stata colpita direttamente o indirettamente da malattia e lutti. – sottolinea – Noi comunque continueremo il nostro impegno, insieme al Comune di Broni, per l’allargamento del Sin (Sito di interesse nazionale) al territorio delle due città». «È una sentenza che lascia l’amaro in bocca. – afferma il consigliere nazionale di Legambiente, Patrizio Dolcini– Al di là della responsabilità penale, che potrebbe anche non esserci, quello che colpisce è il fatto che si sminuisca per l’ennesima volta il dramma della Fibronit e gli effetti della sua presenza per Broni e tutto il territorio, non riconoscendo la connessione diretta tra produzione dell’amianto e morti, quando ci sono dati inoppugnabili delle indagini epidemiologiche effettuate sul territorio che lo dimostrano. È una sentenza che suscita perplessità perché, da una parte, lascia aperta la partita degli indennizzi per i familiari delle vittime e degli ammalati, dall’altra, lascia aperta anche una ferita dal punto di vista etico perché esiste una responsabilità dello Stato e di chi produceva amianto che non ha svolto attività di riconoscimento e indagine rispetto alla pericolosità di quei materiali».
Se la richiesta di archiviazione sarà accolta dal giudice, le associazioni dei familiari delle vittime stanno valutando un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, con l’appoggio anche della politica locale: «Voglio esprimere tutta la mia solidarietà alle famiglie delle 470 persone che sono morte dopo aver respirato per anni la polvere di amianto della Fibronit di Broni. sostiene il vicepresidente del Senato, Gianmarco Centinaio– Posso solo immaginare quanto siano deluse dalla richiesta di archiviazione formulata dalla Procura di Pavia e trovo legittima la loro intenzione di portare questo caso anche di fronte alla Corte europea dei diritti dell’uomo». Per Simone Verni, coordinatore provinciale del Movimento Cinque Stelle, la richiesta della Procura è «antiscientifica e dissennata.
Basterebbero i soli numeri delle vittime, concentrate in alcuni luoghi guarda caso esposti all’amianto, a evidenziare il nesso di correlazione. Purtroppo, in Italia siamo abituati a vederne di tutti i colori e non sarebbe la prima volta in cui potremmo ritrovarci di fronte a un errore della magistratura. Mi auguro che il giudice respinga la richiesta della Procura».
Sullo sfondo della vicenda giudiziaria resta il capitolo della bonifica: da una parte l’attesa per il dissequestro dell’area ex Fibronit, legata a un’inchiesta del maggio 2022 su presunte irregolarità nella bonifica stessa, per avviare i lavori dell’ultimo lotto (16 milioni di euro) con la demolizione dei fabbricati, dall’altra parte l’ampliamento del Sin ai Comuni di Broni e Stradella, per ottenere i fondi per la bonifica delle coperture private, e la realizzazione del nuovo liceo. Temi di cui si parlerà anche a Roma, alla seconda edizione dell’Asbestos International Forum, evento internazionale dedicato alla gestione del rischio amianto per la tutela della salute pubblica, organizzato dal 10 al 12 dicembre dallo Sportello amianto nazionale, con gli interventi del sindaco Riviezzi e del preside dell’istituto “Faravelli”, Roberto Olivieri. «Come Sportello amianto nazionale, rispondendo alle sollecitazioni dell’Avani e del Comune di Broni, abbiamo messo in piedi delle ipotesi di finanziamento per la nuova sede del liceo “Golgi”, che sono al vaglio dei ministeri a livello romano» – conferma il presidente Fabrizio Protti.
Infine, c’è chi ha deciso di dedicare la propria tesi di laurea a uno studio sull’evoluzione del mesotelioma per dare un contributo alla ricerca sulla cura di questa malattia, che gli ha ucciso il nonno nel 2007. È il caso del bronese Matteo Bernini, 22 anni, che nei giorni scorsi si è laureato con 110 e lode in Tecniche di laboratorio biomedico all’Università di Pavia discutendo una tesi dal titolo “Significato prognostico dell’espressione del Ki67 nel mesotelioma pleurico”. «Mio nonno – racconta Bernini – è morto di mesotelioma nel 2007, quando avevo poco più di cinque anni, e della stessa malattia era morto anche il mio bisnonno. Abito a Broni dietro la cementifera, ho frequentato il liceo e conosco molto bene la problematica che riguarda la mia città. In famiglia si è sempre parlato di questo “nemico invisibile” e di come queste particelle di piccolissime dimensioni possano aver causato la morte di così tante persone. È vero che ora la Fibronit è libera dall’amianto, ma ci sono ancora tanti tetti pericolosi, e un po’ di paura c’è. Quindi, quando mi è stato proposto questo tipo di studio multicentrico, sono stato subito entusiasta perché potevo dare il mio piccolo contributo a questa battaglia».