Avvocato di coscienza
Di Silvia Malaspina
Caro il mio avvocato Giovanni Caruso, sei salito alla triste ribalta in qualità di avvocato difensore di Filippo Turetta, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Giulia Cecchettin, un crimine così efferato che, a un anno di distanza, non smette di scuotere le coscienze e di commuovere l’opinione pubblica. Tu, caro avvocato, il 24 novembre 2023, non avesti la minima esitazione ad assumere la difesa del 22enne reo confesso: «Accetto la difesa», dicesti ai genitori di Filippo che, disperati, si erano rivolti a te, principe del foro e accademico di fama, su consiglio di una zia avvocata. Da quel giorno sono iniziati per te 12 mesi di fuoco: prima la petizione lanciata sulla piattaforma Change.org perché rinunciassi alla difesa, con la richiesta all’università di Padova di dissociarsi da te, docente di Diritto Penale; poi le decine di mail intimidatorie e infamanti, per concludere con la spedizione al tuo studio di una busta contenente tre proiettili. Subito sono scattate le indagini per risalire al mandante di questo grave gesto intimidatorio, mentre solidarietà ti è stata espressa dal Sottosegretario di Stato alla Giustizia, il senatore Andrea Ostellari: «Esprimo la mia personale solidarietà all’avvocato Giovanni Caruso, vittima di un atto intimidatorio inaccettabile». Anche Gino Cecchettin, nonostante la comprensibile indignazione dimostrata alla lettura di alcuni passi della tua arringa di difesa, ha definito quanto accaduto «ignobile e inaccettabile». Caro avvocato, l’istintiva reazione di fronte alla tua presa in carico della difesa di un omicida è stata chiedersi perché l’autore di un crimine tanto orripilante potesse avvalersi dell’ausilio di un professionista tanto esperto: non avevi certo necessità di implementare le tue entrate o il tuo prestigio. Forse è stata una sfida, ma, di fronte a questa tua dichiarazione – «Il diritto alla difesa non può e non deve retrocedere neppure di fronte alla commissione del crimine più atroce» – voglio pensare che tu ti sia posto un obiettivo più alto: far riflettere Filippo Turetta, smovendolo da quel glaciale torpore che l’aveva avviluppato subito dopo l’arresto. In questa triste vicenda il discriminante che ha reso lampante la tua inscalfibile deontologia professionale è stato il fatto che tu non abbia richiesto la perizia psichiatrica per Filippo, privandolo dell’attenuante di una possibile dichiarazione sull’essere incapace di intendere e volere. Il tuo assistito ti aveva confessato: «Ho perso la testa, ma non mi sento matto». Ora che la sentenza è stata pronunciata da un vero Tribunale e non da quello dei social, l’augurio è che non si renda mai più necessaria la difesa di tali atrocità.
silviamalaspina@libero.it