Costretti a nasconderci

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Di Silvia Malaspina

Cari i miei Lettori, approfitto di questo numero natalizio del nostro giornale per augurarvi serene feste e per condividere alcune considerazioni su come sia cambiata la percezione del Natale negli ultimi anni. Ho già espresso il mio disappunto sull’anticipo forsennato del clima natalizio, ma constato che progressivamente questo si limita agli aspetti superficiali ed esteriori. Il nostro vescovo, in un’omelia ha detto: «Rischiamo di fare festa dimenticando il Festeggiato». Io mi permetto di aggiungere che non solo rischiamo di dimeticarLo, ma quasi Lo dobbiamo nascondere. Cari Lettori, ricapitoliamo ciò che emerge dalle crociate indette da chi si fregia spocchiosamente di essere politically correct e fautore dell’inclusività: no all’esposizione del presepe nei luoghi pubblici, no alle recite scolastiche allietate da motivetti natalizi in cui compaiano i temibilissimi nomi Gesù, Maria, angeli, Re magi, che talvolta vengono camuffati in modo ridicolo (chi non ricorda la genialata di “È nato Cucù” cantato in una scuola primaria di Padova nel 2023 per non ledere le coscienze dei bambini stranieri con un “È nato Gesù”?), no ai racconti e alle poesie sulla Notte Santa. Di questo passo ci troveremo a rappresentare Gelindo negli scantinati in clandestinità. La nostra società è multietnica, multiculturale, multireligiosa, ma questo non dovrebbe implicare la perdita della nostra identità che, con buona pace di tutti, resta un’identità cristiana. L’assurdo è che le recriminazioni contro la Natività non vengano sollevate dagli immigrati: mi piacerebbe chiedere a un bambino non cristiano che frequenta le nostre scuole se in casa non abbia addobbato l’albero, se non abbia decorato il balcone con le luminarie, se il 25 dicembre non gusterà un pranzo diverso dal solito, se non riceverà qualche regalino… Cari lettori: se tutti coloro che abitano sul territorio italiano hanno la sacrosanta libertà di celebrare gli aspetti laici del Natale, devono anche ignorare l’evento che dà origine a ciò che stanno vivendo? Ragionando per analogia: io non ho motivo (nemmeno quello del colesterolo alto!) per ottemperare ai precetti del Ramadan, ma non mi urta vedere chi digiuna fino al tramonto del sole. Perché non dovrei pretendere una par condicio? Siamo sicuri di favorire l’accoglimento dei bambini di fede non cristiana negando loro la conoscenza della religione che sta alla base della nostra arte e della nostra letteratura? Quando Mustafa, Jasmine, Shanti studieranno l’Annunciazione del Beato Angelico o le terzine dantesche non si troveranno in svantaggio?

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