Il bene è già tra di noi

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Di Arianna Ferrari e Andrea Rovati

LEI

Ci sono attimi nella vita in cui una bilancia appare nella mia mente guardandomi in modo quasi interlocutorio. Provo a risponderle cercando di dire la verità e – seppur col rischio di peccare di arroganza – tento di sceglierla sempre sia nei pensieri sia nei fatti. Dopo i recenti momenti vissuti ho sperimentato il dolore ma anche l’immensa umanità e gentilezza di chi gratuitamente spende il proprio tempo per accudire coloro che sono nel bisogno. Parlo dei volontari di alcune piccole e poco blasonate associazioni. Persone che umilmente e nel silenzio operano ogni giorno per il bene. Mi piacerebbe che anche a loro fosse data la giusta importanza perché nel mondo d’oggi sembra che la parola “gratis” sia sinonimo di poco conto. Io credo che il vero significato di questo termine sia l’impossibilità di stabilire un prezzo o un valore adeguato a chi spende il proprio tempo per regalare amore… con fatica e senza pubblicità. Come diceva Gino Bartali, «il bene si fa ma non si dice. E certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca». Quest’immensa gratitudine è sul primo piatto della bilancia. Sull’altro peso invece certe aridità umane e spirituali che mi toccano fino a togliermi il fiato. Forse, come sosteneva Tiziano Terzani «tutti dobbiamo chiederci, e sempre, se quel che stiamo facendo migliora e arricchisce la nostra esistenza». Credo perciò che il volontariato sia un dono che fa bene non solo a chi lo riceve ma anche alla vita di chi lo fa. Noi come stiamo arricchendo la nostra esistenza?

arifer.77@libero.it

LUI

«A che ora è la fine del mondo?» cantava Ligabue anni fa. Aziende che chiudono. Natalità in calo. Centri storici semideserti dove una volta c’erano negozi e gente. E chi più ne ha più ne metta. Ma la narrazione dell’apocalisse fa correre il rischio di non vedere il tesoro nascosto che invece abita tra di noi. L’unico vero tesoro è la carità e tanti, tantissimi la vivono. Certo ci sono i big del volontariato, Médicins Sans Frontières, Unicef, Save The Children, lodevoli nelle loro molteplici attività e anche bravissimi a farle conoscere e a farsi sostenere. Ma ci sono pure (e soprattutto) le piccole realtà dei nostri paesi, quelle di chi raccoglie pasta e vestiti per i più sfortunati, va nelle case di riposo a imboccare gli anziani o negli hospice a portare conforto a malati e famiglie, trasporta i malati nelle giungle disumane in cui si è trasformata la sanità (e parlo da sanitario). Non ci sono attori e cantanti che girano spot a loro sostegno, sono invisibili come le persone a cui fanno del bene. Diventano visibili solo quando chi governa (e ogni colore politico ci mette del suo con perversa immaginazione) decide che devono sottostare a norme sempre più complesse e a vincoli digitali tanto cervellotici quanto inefficienti, ovviamente “per il bene comune”. Il rischio è che molte realtà chiudano e un inestimabile patrimonio umano vada perduto per sempre. Che fare? Internet e sapere l’inglese non servono, anzi rischiano di essere d’ostacolo; iniziamo a vedere: il bene è già tra di noi.

andrea.rovati.broni@gmail.com

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