I salari che non crescono
Di Cesare Raviolo
Salari e stipendi del nostro Paese sono tra i più bassi in Europa e crescono poco. Secondo Eurostat (Ufficio statistico dell’Unione Europea), contro una media UE (a 27 membri) di 39.825 Euro, la retribuzione annua media lorda (espressa in standard di potere d’acquisto per eliminare le differenze di prezzo tra i Paesi) in Italia è di 33.277 Euro (-16%). Il rapporto non cambia molto nel caso della retribuzione annua media netta: nella UE è di 27.530 Euro e in Italia di 24.051 (-13% circa). I Paesi con gli importi di reddito lordo più elevati sono Svizzera, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Austria, Belgio e Norvegia, con più di 50.000 Euro. Al contrario, il reddito più basso si registra in Slovacchia, dove il lordo non raggiunge 20.000 Euro e il netto 15.000. La parte più importante del reddito lordo, cioè comprensivo di ritenute fiscali e previdenziali, è il reddito netto, che va dal 60% (Belgio, Lituania, Germania) all’86% (Cipro). L’incidenza del reddito netto a livello europeo è di circa il 70%; in Italia rappresenta circa il 72%, ma l’ammontare delle imposte (22,1%) è uno dei valori più elevati in Europa. Solo Danimarca (36,0%), Islanda (27,3%), Belgio (26,0%) e Irlanda (24,0%) presentano una percentuale maggiore. La differenza con l’Europa emerge dall’andamento delle retribuzioni nel tempo. Dal 2013 al 2023 le retribuzioni lorde annue per dipendente in Italia sono aumentate complessivamente del 16%, un incremento che è poco più della metà rispetto alla media europea (+30,8%); in particolare, Spagna e Francia hanno registrato un aumento del 22,7% e la Germania del 35,0%. Nel 2023 l’Italia è risultato l’unico Paese con un livello medio di retribuzioni reali inferiore rispetto al 2013: in questo decennio, il potere d’acquisto delle retribuzioni lorde nella UE è aumentato, in media, del 3% (Francia +1,1%; Spagna +3,2 %; Germania +5,7%), mentre in Italia è diminuito del 4,5%. Nel biennio 2022-2023, caratterizzato da alta inflazione, l’Italia ha registrato la peggior performance in termini reali (-6,4% rispetto al 2021), seguita dalla Germania (-4,1%); perdite più contenute, invece, in Francia e Spagna (rispettivamente -1,5% e -1,9%). Tendenze preoccupanti, dunque, che, se dovessero continuare, influiranno negativamente sui consumi delle famiglie, sulla domanda aggregata e, in ultima analisi, sul Pil del nostro Paese; a livello sociale, questa situazione rischia di incrementare le disuguaglianze e il “lavoro povero” che già oggi, in Italia, non garantisce una vita dignitosa a 2,6 milioni di persone.
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