Altro attacco al cuore della fiducia

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La recente truffa del finto ministro della Difesa ai danni di importanti imprenditori italiani è una pericolosa invasione di campo: quello della filantropia

Nelle scorse settimane un’organizzazione criminale ha utilizzato il nome e la voce del Ministro della Difesa in carica per un tentativo di truffa ai danni di importanti imprenditori italiani. I “telefonisti” della banda hanno chiesto somme di denaro per riscattare la vita di giornalisti italiani trattenuti con la forza in terra straniera.

All’udire la notizia (puntualmente riportata anche dal Popolo) siamo rimasti a bocca aperta. O perlomeno molti hanno avuto una simile reazione, non tutti. A quanto pare, l’idea che un esponente del Governo possa promuovere una “colletta” per indurre dei terroristi a liberare alcuni nostri connazionali, non desta affatto scalpore. In fin dei conti, cosa ci sarebbe di strano nel chiedere un “aiuto” per sottrarre persone prive di qualsiasi colpa a un’ingiusta prigionia?

A voler esaminare meglio la vicenda, ci sarebbe da obiettare che qualcosa di analogo è accaduto pure durante l’emergenza sanitaria scatenata dall’improvvisa diffusione del virus Covid-19. In realtà, fra le due situazioni possiamo scorgere numerose differenze, e non solo per la diversa destinazione (riscatto vs costruzione di strutture ospedaliere e ricerche scientifiche). Ciò che in quel contesto si sarebbe potuto definire riservatezza, qui diventa travestimento; il denaro, che veniva chiesto e offerto come donazione, viene ora spacciato per prestito rimborsabile; l’adesione alla buona causa che in quel contesto poteva limitarsi a una promessa di sostegno, in questo caso deve sfociare nell’esecuzione immediata del trasferimento monetario.

Assumendo il punto di vista dei protagonisti passivi, possiamo supporre che la telefonata del (finto) Ministro abbia fatto scattare in loro una punta di orgoglio giustificata dall’appartenenza a una ristretta cerchia di “salvatori della Patria”. E in effetti, se ripercorriamo gli ultimi due secoli di storia, ci accorgiamo che il connubio tra spirito patriottico e attitudine al bene collettivo non è un concetto nuovo. Quello che tuttavia mi preme ricordare è che non stiamo discutendo di un fatto goliardico o di un clamoroso scherzo, ma di un evento che oserei definire un attacco al cuore della fiducia, oltre che una pericolosa invasione di campo.

Gli specialisti della truffa hanno alzato il tiro per occupare uno spazio che credevamo inviolabile, dove le parole “filantropiche” (contributo, raccolta fondi, buona causa) hanno sempre avuto e continuano ad avere un ruolo cruciale. È questo il motivo per cui ci sta a cuore sapere che il mondo della filantropia italiana sta cercando nuovi linguaggi per rendere più riconoscibile e (a pari merito) più efficace il proprio operato; si parla – solo per fare un esempio – di filantropia che si ispira a scenari che prefigurano un “welfare di precisione”.

Proprio un mese fa ho avuto l’opportunità di accompagnare tecnicamente il varo di un nuovo strumento di sostegno economico che mira a elevare la crescita culturale dei giovani. In verità, il primissimo approccio alla lettura dei documenti mi ha procurato un po’ di disorientamento.

Avrei voluto che ci fosse presente un amico per testimoniare la mia reazione facciale mentre leggevo ad alta voce “contributo a vocazione triennale”. Capisco che l’espressione sta a indicare un finanziamento a fondo perduto garantito per un numero predefinito di anni, eppure supplico il mio orecchio incredulo di ascoltare più attentamente, provo a scandire sillabando, mi rivolgo la domanda se sia possibile che un contributo abbia una sua “vocazione”. Solo quando sento di aver superato lo choc ritorno sull’epicentro di un’emozione filologica, musica per il mio status di studente di filantropia perennemente fuori corso. E non appena realizzo che quella parola è strettamente imparentata con “devozione” (offerta di sé) e “devoluzione” (cessione delle proprie sostanze), mi affretto a complimentarmi con i miei illustri colleghi per aver ideato una nuova iniziativa.

A qualche giorno di distanza, decido di fare una passeggiata in centro città e, per caso, sulla lastra di una via dedicata a un personaggio di fine Ottocento, mi capita di leggere “naturalista e filantropo”. Che intuizione formidabile deve aver folgorato gli incaricati comunali dell’epoca (!), responsabili di aver teorizzato che la filantropia risiede tanto nel devolvere denaro quanto nel seguire la propria vocazione di cercatori di verità, giustizia e bellezza.

luigiginomaruzzi@gmail.com

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