Riarmo: a chi giova?
Di Cesare Raviolo
Il piano ReArm Europe, proposto nei giorni scorsi dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen e approvato all’unanimità dai 27, in occasione del vertice straordinario sulla difesa di Parigi, prevede un aumento di spesa per la difesa di 800 miliardi di euro, di cui 650 arriveranno da una deroga di almeno 4 anni alla clausola di salvaguardia del nuovo Patto di Stabilità, così da non dar luogo a procedure per deficit eccessivo, e 150 saranno garantiti da obbligazioni UE. Gli 800 miliardi del ReArm andranno ad aggiungersi ai 457 che, secondo l’International Institute for Strategic Studies, l’Europa spende già oggi per la difesa, anche se, in realtà, oltre l’80% di queste spese è frutto di piani nazionali e solo il 18% di progetti comunitari. Anche trascurando qui, pur senza dimenticarli, gli aspetti etici di tale scelta, il piano solleva interrogativi sia in riferimento alla funzionalità di un esercito forte senza alle spalle un potere statale e un’unica catena di comando, alla pluralità di sistemi d’arma e di organizzazione dei vari Paesi, sia, soprattutto, sotto il profilo economico e del finanziamento della spesa. I 150 miliardi di obbligazioni saranno coperti con debito comune, da girare sotto forma di prestiti agli Stati membri e, quindi, da restituire entro una determinata scadenza. Si ripete il modello previsto per fronteggiare la pandemia Covid 19, quando furono sospesi i vincoli del Patto e fu attivato il debito comune, girato poi agli Stati sotto forma di sovvenzioni e prestiti. Questi, che non erano a fondo perduto, hanno finito per aumentare il debito degli Stati e, una volta ripristinati i limiti del Patto di stabilità, è stata ribadita la necessità di riduzione del debito statale. Terminata l’emergenza, vera o presunta del riarmo, i sostenitori della riduzione del debito chiederanno di “rientrare” con tagli alla spesa pubblica. Vorremmo essere smentiti, ma essi riguarderanno, al solito, non la difesa, ma istruzione, sanità, welfare. Così a pagare saranno, al solito, i più indifesi. D’altra parte, è probabile che i miliardi di spesa pubblica per la difesa abbiano effetti di spiazzamento (crowding out) nei confronti dell’investimento privato. Inoltre, considerata la polverizzazione dell’industria bellica, è assai probabile che, vista l’assenza di scadenze nel ReArm Europe, il tutto finisca per favorire le imprese USA a scapito di quelle UE, alle quali rimarrà qualche briciola o poco più. Prepararsi alla pace e non alla guerra, con più politica e meno armi?
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