Felicizia: la città che è morta sul nascere

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Sono passati dieci giorni dal messaggio di fine anno del presidente Mattarella e le sue legittime speranze sono già state disattese. Peccato. Anche nel 2019 ci ritroviamo a vivere nel Paese delle occasioni perse. Buone occasioni intendo. Quello del capo dello Stato è stato un discorso sentito, puntuale, calibrato: mi hanno colpito, soprattutto, i riferimenti ai cittadini chiamati per nome come Anna, l’anziana signora sola che nella notte di Natale ha chiamato i carabinieri per avere qualcuno con cui parlare. Come Antonio, il giornalista radiofonico morto nell’attentato di Strasburgo. Come i ragazzi del Centro di cura per l’autismo di Verona. Persone. Che potremmo conoscere o incontrare sul pianerottolo. Che formano la comunità in cui siamo cresciuti. “Qualche settimana fa a Torino – ha detto Mattarella – alcuni bambini mi hanno consegnato la cittadinanza onoraria di un luogo immaginario, da loro definito Felicizia, per indicare l’amicizia come strada per la felicità. Un sogno, forse una favola. Ma dobbiamo guardarci dal confinare i sogni e le speranze alla sola stagione dell’infanzia. Come se questi valori non fossero importanti nel mondo degli adulti. In altre parole, non dobbiamo aver timore di manifestare buoni sentimenti che rendono migliore la nostra società”. E poi ha elogiato le realtà del volontariato, del Terzo Settore, del No profit che rappresentano una rete preziosa di solidarietà e che arrivano dove non arrivano più le istituzioni. Però per un manipolo di fanciulli che costruisce Felicizia, c’è un esercito di adulti che subito la distrugge. Povertà e solitudine non trovano spazio nelle città reali. Trieste, per esempio, dove il vice sindaco Paolo Polidori ha gettato le coperte di un clochard “spazzando via” la sua “casa”. Soltanto i triestini capaci di abitare una città immaginaria hanno chiesto scusa del brutto gesto. Riusciremo quest’anno a gettare le fondamenta di un Paese dal volto umano? Forza! Non arrendiamoci. Non confiniamo i sogni nella retorica. Talvolta anche le parole sono mattoni che edificano una società più giusta, più rispettosa, più civile.

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