Il sale della nostra terra

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“Entriamo” nei capannoni del sale di Tortona,

guidati da Armando Bergaglio

 

 

I depositi della raffineria del sale si trovano alla periferia nordovest di Tortona, oltre la ferrovia, in una zona da sempre a vocazione orticola, dove prosperava la famosa fragolina di Tortona. È la zona Alfa, e il nome stesso – l’acronimo di Anonima Ligure Ferro e Acciaio – ci offre una definizione e una identità della località. Infatti l’Alfa era nata poco più di un secolo fa, nel 1907, quando iniziava la costruzione di un complesso che, assieme alla Dellepiane, avrebbe rappresentato l’avvio del moderno processo industriale della nostra città. Furono, quelli, anni felici per Tortona: infatti tra il 1906 e il 1908, oltre all’Alfa (industria metalmeccanica) e alla Dellepiane (industria tessile), si apriva il Mulino Torriglia (poi Fassini), si inauguravano l’edificio scolastico e l’ospedale (grazie al lascito Mirabello), l’albergo Europa ed era in forte espansione la Orsi, nasceva la Città Giardino e iniziava un attento recupero della collina del Castello, partendo dal restauro della storica torre. Si apriva la prima centrale elettrica, si inaugurava la rete telefonica e nasceva la Cassa di Risparmio di Tortona. In concomitanza con questi eventi si registrava un sorprendente incremento della popolazione che, in un decennio, aumentava del 15%.

In questo contesto sorge l’Alfa, la prima vera industria metalmeccanica della città che si espande rapidamente. Si lavora l’acciaio e viene prodotto materiale ferroviario. Pochi anni dopo l’apertura scoppia la prima guerra mondiale. Paradossalmente per l’Alfa è un evento fortunato perché riceve commesse militari: infatti per conto della Soc. Proiettili di Torino viene avviata la produzioni di pallottole. A guerra finita entra la società francese Schneider con relativi capitali. L’industria si amplia, gli impianti vengono rinnovati e si lavora a pieno ritmo. Ma purtroppo è un momento felice che dura poco. Infatti per l’Italia inizia un periodo di profonda crisi, crisi economica, con gli inevitabili conflitti sociali e politici, scioperi e occupazione delle fabbriche. Di questo risente pesantemente l’Alfa. I francesi chiedono la liquidazione della società e ritirano i propri capitali. Il sindaco Carbone si attiva per trovare una soluzione. Anche i sindacati affrontano il momento difficile, al punto che comunisti e fascisti uniscono il proprio impegno per trovare una via d’uscita.

Nel 1924 arriva la Soc. Itala di Torino. L’Alfa diventa “Officina Meccanicametallurgica Tortona”. Si occupa della riparazione di locomotive e della produzione di pezzi per auto. Seguono cinque anni abbastanza tranquilli, ma nel 1929 si registra il dissesto della Soc. Itala e l’anno dopo – 31 luglio 1930 – l’azienda tortonese chiude. Segue la ricerca disperata di un nuovo acquirente. Il podestà Boragno va a Roma e bussa a vari ministeri. Solo nel 1935 aprono i magazzinideposito tabacchi greggi del Monopolio dello Stato. Seguono 9 anni tranquilli, durante i quali i magazzini vengono notevolmente ampliati. Poi la guerra. Nel 1944 gli ampi magazzini sono occupati dai tedeschi e utilizzati come deposito di munizioni, finché arriva quel drammatico 14 dicembre 1944. Nel corso di una duplice incursione aerea della RAF, tra le 13.07 e le 13.25, sull’ampio complesso vengono sganciate 319 bombe. È la distruzione totale. Gli impianti sono chiusi. Si registrano 6 vittime civili tra le macerie e numerosi feriti (mancano, invece, notizie su eventuali vittime tra i militari tedeschi all’interno della struttura), oltre a gravissimi danni alle case dei dintorni, alla passerella ferroviaria, alla ferrovia e agli impianti per la produzione del gas.

A un anno e mezzo dalla fine della guerra, il 1° ottobre 1946 riprende l’attività. L’Alfa (si continua a chiamarla così) rinasce grazie alla figura di un grande imprenditore, l’Ing. Cova, direttore generale dei monopoli, che al deposito di tabacchi greggi di Tortona aggiunge la raffineria del sale.

L’azienda viene gestita da una cooperativa di reduci dalla prigionia, costituita da Franco Nicola. Sono ricercate persone robuste, disposte a un lavoro faticoso, non ancora meccanizzato, per questo viene data la preferenza al mondo contadino. Nasce così la Cooperativa Reduci dalla prigionia (30 soci). Per adeguare gli impianti alla nuova lavorazione occorrono nuovi spazi. Per questo si decide la costruzione di nuovi capannonideposito, assegnata all’Arch. Pier Luigi Nervi. Dalle saline di Margherita di Savoia giungono le “tradotte” (treni di almeno 30 vagoni) con il loro carico di sale, che viene scaricato e messo in sacchi da un quintale, quindi, una volta raffinato, è ricaricato sui vagoni per essere smistato ai distributori in Alta Italia, quindi alle tabaccherie, dove è venduto sciolto.

È stato merito dell’Ing. Cova se i monopoli sono stati trasformati in un’azienda moderna, efficiente e redditizia. Il sale non è più venduto sciolto, bensì raffinato e confezionato in pacchetti di mezzo kg. Per questo si rende necessario un radicale rinnovo delle strutture e degli impianti. Vengono, così, completati i due capannoni di Pier Luigi Nervi.

Si tratta di una struttura innovativa in calcestruzzo nervato, costituito da un soffitto a cassettoni, i quali vengono preparati a piè d’opera, quindi montati e completati. Nei due capannoni (lunghi m. 130 e 100, larghi m. 20 e alti m. 15) che presentano una sezione parabolica sormontata da un lucernario, avvengono le operazioni per il confezionamento, imballaggio e spedizione dei pacchetti. Si lavorano fino a 18 q.li di sale all’ora, pari a 3600 pacchetti, in due turni giornalieri. “Tortona fu la prima raffineria in Italia”, mi ricordava una volta il rag. Franco Nicola nel corso di una lunga e dettagliata chiacchierata. “Era in lizza con Genova, ma grazie al nostro deputato Raimondi e a all’On. Andreotti, stretto amico di Raimondi, la raffineria è rimasta a Tortona. Per questo fu decisa la costruzione dei capannoni. L’arch. Pier Luigi Nervi propose una struttura senza colonne. Quella di Tortona fu la prima costruzione in cemento armato senza pilastri. Un’opera che veniva visitata da tecnici di tutto il mondo, al punto da meritare una copertina di ‘Life’. L’impresa costruttrice era la ‘NerviBartoli’. Ultimata la struttura muraria si iniziò ad allestire la raffineria. Il programma operativo era realizzare una macchina impacchettatrice. Fabbricata a Stoccarda, era in grado di impacchettare 18 quintali di sale all’ora in pacchetti da mezzo chilo l’uno”. Il pacchetto veniva convogliato in uno scatolone: 40 pacchetti, 20 kg di sale. Da un turno di lavoro si passò a due turni, il primo turno era di dipendenti statali, il secondo turno fu affidato alla cooperativa di Nicola, perché ritenuta all’altezza di eseguire il lavoro. Dopo il primo rendiconto, la cooperativa si dimostrò in grado di sfruttare al massimo l’impianto cioè lavorare 18 quintali all’ora (pari a 3600 pacchetti di sale). Il personale statale lavorava 12 quintali all’ora. Fu così deciso di assegnare i due turni alla cooperativa tortonese per un totale di 150 dipendenti. Il personale statale indicava il piano di lavoro giornaliero, elaborava i programmi di lavoro ed eseguiva tutte le pratiche di segreteria e amministrative”.

Dopo la raffineria di Tortona, la prima in Italia, furono aperte quelle di Venezia Marghera, di Margherita di Savoia, di Tarquinia e di Castellamare di Stabia.

Visto il successo di Tortona, Nicola fu incaricato di gestire tutte le raffinerie, un totale di 6000 quintali al giorno in pacchi da mezzo kg. Tale gestione durò 25 anni, fintanto che, nel 1978, la vendita del sale fu liberalizzata e gli impianti, rimasti per qualche tempo deposito di tabacchi greggi e lavorati, furono chiusi definitivamente.

“Chi era Pier Luigi Nervi?”, chiesi in quella occasione al rag. Nicola. “Un uomo dalle capacità non comuni. – rispose – Appena entrava in cantiere intuiva quello che non funzionava. Nei rapporti interpersonali, poi, era cordiale ed aperto”.

E ora la domanda inquietante e ricorrente è un’altra: “Quale sarà il futuro dei capannoni di Pier Luigi Nervi?”.

Armando Bergaglio

 

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